Finalmente il santo padre cinse a Carlo le chiome della corona imperiale. Carlo allora, giusta le formalit`a, si prostrava curvandosi al bacio dei piedi santi. Era per`o convenuto che il papa non gli lascerebbe compiere l’atto, e rilevatolo a mezzo, lo avrebbe stretto tra le braccia e baciato nel volto. Ma come resistere alla compiacenza di vedersi innanzi prostrato un signore di tante provincie? Non tutti i giorni si trovano imperatori da rinnovare tale ossequio; e poi, Clemente lo aveva gi`a detto, si sarebbe di tanto rialzato il sacerdozio quanto abbassato l’impero. Si dimenticava pertanto del convenuto: il coronato stette lunga pezza nell’attitudine dello schiavo: in quel punto la corona gli pes`o sul capo come se fosse stata una montagna; allora gli parve che il mondo, poc’anzi da lui sorretto nella mano, adesso di tutto il suo peso gli gravitasse sul corpo: come il serpente della Scrittura, lui si nudr`i di cenere e la sent`i amara, senza misura amara; sicch'e il suo cervello, compresso dal pentimento, dalla umiliazione e dalla rabbia, still`o una goccia di sudore, la quale, come quella dell’anima dannata dello scolare apparsa al suo maestro di filosofia, secondo che racconta frate Jacopo Passavanti
[6] nelloFuori del tempio il popolo urlava, insaniva, fremeva a guisa di baccante scapigliata; Perch'e nessuna scintilla d’intelletto gli balenasse su l’anima, qui `i pane, qui copia di vino, camangiari e giullari. Sopra una colonna di marmo stava l’aquila imperiale; la quale da uno de’ suoi becchi versava vino rosso, dall’altro vino bianco, e gi`u intorno alla base della colonna vedevi prostesi uomini deturpati da oscena ubbriachezza. Sicch'e l’Alamanni
[7] a questo spettacolo ebbe a dire: Ecco l’aquila imperiale rende oggi a spiluzzico alla gente italica il sangue che loro bevve a lunghi sorsi in tanti anni e le lacrime che le fece in copia versare; ma gliele rende stemperate nel veleno della stupidit`a.Ahi! popolo, io che ho viscere di umanit`a e sono parte di te, conosco le tue miserie e le compiango. Bevi, procurati un sonno uguale alla morte; le tue gioie consistono nel non sentire i tuoi dolori. Ora tu sei condotto in piazza, come l’orso ammansito, per sollazzare i tuoi sovrani padroni.
Dalle finestre, dai terrazzi lui ordina che ti siano gettati pane e carne. Potessi cibarti per un anno e approvigionarti lo stomaco, come la cittadella che teme l’assedio, saresti meno infelice; ma domani l’insolito cibo ti recher`a molestia, forse anche la morte. Feste, forni e forche; ecco la somma dei paterni argomenti con i quali ti governano i tuoi signori. Domani tornerai a logorarti nelle consuete officine, a bagnare di sudore i solchi dei campi; quivi travagliati da mattina a sera, e l’opera delle tue mani, il sudore della tua fronte devotamente consegna ai re e ai sacerdoti tuoi. Questi ti lasceranno la vita, ti lasceranno un pane, il cielo che ti copre e il sole che ti scalda… o che non basta? Indiscreto! Via, ti lasceranno tanto spazio di terra da riporci dentro le tue ossa, perch'e non le rodano i cani, ed ancora perch'e morto tu col fetore non gli offenda dopo che vivo tanta recasti loro gravezza e molestia.
Capitolo Quinto
Papa Clemente VII
Clemente papa ora se ne sta ridotto nella stanza pi`u riposta del suo palazzo: essa
[8] era di forma ottagona con bellissime colonne di ordine ionico. Da quattro lati ci fanno capo altrettante porte di rare modanature come sapeva condurre la eccellenza dell’arte cos`i comune in quei tempi; gli altri sodi appariscono ornati di quadri rappresentanti martiri di santi, membra segate, capi fessi, brindelli laceri, che infondono, piuttosto che riverenza, ribrezzo; intorno all’architrave superiore si innalza una parete che gli architetti chiamano tamburo, e sul tamburo una cupola elegante a imitazione delle forme immaginate dal divino Brunellesco. Il servo andasse ad aprire la porta, dicendo:“Ecco gli oratori fiorentini.”
Si apersero le porte, e comparvero Nicol`o Capponi, Luigi Soderini, Jacopo Guicciardini e Andreuolo di messer Otto Nicolini, oratori del comune di Firenze. Giunti appena che furono al Pontefice, e si prostrarono al bacio dei santi piedi: ma Clemente, rilevandoli con la voce e con i gesti favellava:
“Alzatevi, messere Nicol`o e voi messere Andreuolo; su via, messeri Luigi e Iacopo, sedetevi. L’imperatore ha da curvarsi al cospetto nostro e baciarci i piedi: voi poi siete parenti, amici, tutti figli della medesima madre. Messere Nicol`o, che cosa fanno Piero e Filippo vostri? Venite, parliamo di Firenze nostra in famiglia. A quale stato la povera citt`a si trova condotta adesso?”