«Non posso impedirti di andare» continuò Soana. «Sei tu che devi decidere. Ricordati solo che io non mi fido più di Reis.»
«Me ne ricorderò» tagliò corto Nihal. «Ora dimmi dov’è.»
Nihal si scapicollò fuori dal palazzo, non voleva attendere un minuto di più. Aveva già raggiunto la scuderia, quando si sentì chiamare.
Sennar la raggiunse col fiato corto. «Dove vai?»
«Da Reis.»
Sennar ci pensò un attimo, poi la guardò negli occhi. «Vengo con te.»
Nihal sorrise. «Mi sembrava che non ti piacesse viaggiare sul dorso di Oarf.»
«Me lo farò piacere» rispose Sennar, quindi salì sul drago ostentando disinvoltura.
26
Reis.
Reis viveva nella parte occidentale della Terra dell’Acqua, una zona disabitata e montagnosa. Là si trovavano le imponenti cascate di Naël e, stando alle parole di Soana, la casa della maga sorgeva su una roccia affacciata sull’acqua.
Nihal e Sennar volarono su Laodamea, sulla sua piana e sulla Foresta Occidentale, dove Megisto era pietra di giorno e uomo di notte, e ammirarono dall’alto la traccia degli innumerevoli fiumi che rigavano la Terra dell’Acqua. Nihal indossava l’armatura. Non sapeva perché se l’era messa, ma le dava sicurezza. Sennar era dietro di lei e le cingeva la vita con le braccia, tenendosi stretto.
Nihal ritrovò la gioia di avere di nuovo Sennar al suo fianco. Qualunque fosse la verità che Reis custodiva, non avrebbe affrontato da sola quell’ultima prova.
Verso mezzogiorno si fermarono in un villaggio e chiesero indicazioni a una giovane donna con un bambino in braccio.
«Le cascate sono ancora lontane» rispose la donna. «Dovete risalire il corso del fiume, ma ci vogliono almeno due giorni di viaggio.»
Nihal fu presa dello sconforto. Quanto avrebbe dovuto aspettare ancora?
Volarono tutto il pomeriggio, seguendo una delle tante diramazioni che il Saar creava con il suo delta: gettandosi nel mare, il Grande Fiume si separava nei mille corsi d’acqua che solcavano quella Terra. A essi si univano altri piccoli rivi, che nascevano dalle basse montagne della zona meridionale. Il ramo che sorvolavano era uno dei più grandi e si snodava placido ai loro piedi.
Quando scese la notte si fermarono al limitare dei boschi, sempre in vista del fiume, e lì si accamparono. Nihal era partita in fretta e furia, senza pensare che il viaggio potesse essere lungo. Sennar però aveva comprato qualche provvista al villaggio in cui si erano fermati la mattina e allestì una cena a base di carne arrostita.
«Come viaggiatrice sei un disastro» la prese in giro Sennar. «Se non fosse per me, a quest’ora staremmo mangiando ghiande, come i cinghiali.»
Nihal era contenta di essere lì, con lui. Addentò un pezzo di carne e le sembrò che fosse squisita, come quella che aveva mangiato con lui anni addietro, quando si trovava nella Foresta per superare la prova di iniziazione alla magia, terrorizzata, e Sennar le aveva portato del cibo e aveva vegliato su di lei tutta la notte.
«Ti ricordi la sera nel bosco, poco dopo esserci conosciuti?» chiese Nihal.
«Certo che me la ricordo. Anche quella volta ho provveduto a sfamarti, se non sbaglio. Ah, se non ci fossi io!» sospirò Sennar.
Nihal scoppiò a ridere. «Già. Chissà come ho fatto a sopravvivere mentre eri via... Mi hai raccontato la tua vita, ricordi?» Nihal prese un altro pezzo di carne. «A volte penso che mi piacerebbe davvero viaggiare, come hai fatto tu. Ho passato tanto di quel tempo a sperare di poter volare via...»
«Non è così bello, sai?» rispose Sennar. «Il più delle volte ti senti sperduto e vorresti non essere mai partito. L’ignoto è molto più affascinante quando ti limiti a immaginarlo. La verità è che io sto meglio qui, con i piedi per terra, a fare il mio lavoro.»
Nihal scrollò le spalle. «Io sento di non stare bene da nessuna parte. Non so neanche più perché combatto... Tu sai cosa vuoi, Sennar?»
«C’è qualcuno al mondo che lo sa? Io credo in quello che faccio e per ora mi basta. Adesso basta filosofeggiare. Domattina ci aspetta ancora un bel tratto di strada, è meglio dormire. Te lo dice un viaggiatore esperto.»
Nihal si allontanò dal fuoco e si sedette in modo da guardare il folto, la spada al fianco. «Tu dormi pure, io faccio il primo turno di guardia. È meglio che almeno uno di noi stia sveglio. Te lo dice un guerriero esperto.»