Sennar riconobbe la voce di Ido: «I vostri compagni stanno morendo, dannazione! Non c’è tempo! Alzate quelle maledette armi!». Qualcuno obbedì e a poco a poco l’altopiano fu irto di lame e lance, frecce e scuri.
Sennar e Soana rivolsero le palme delle mani verso il cielo e iniziarono a recitare una formula. Dai loro polsi uscì un raggio purpureo che si innalzò, per poi ridiscendere in centinaia di rivoli di luce che inondarono ciascuno un’arma.
Quando le truppe si mossero, Sennar si appoggiò alla sponda del carro, sfinito. Soana scivolò sull’assito.
Nihal si alzò in volo con Oarf e spronò i suoi uomini. I soldati presero a calare le spade sui nemici. Ora i colpi andavano a segno e i fantasmi si dissolvevano come fumo, ma era comunque terribile. Tra le file degli spettri Nihal riconobbe molti commilitoni e colpirli, dopo aver visto i loro occhi e i loro sguardi, era quasi impossibile. Avanzò ancora, piena di rabbia, finché non scorse in lontananza la sagoma vermiglia che montava il drago nero. Sarebbe stato lui quello che avrebbe ucciso per primo.
Prese a inseguirlo senza chiedersi perché si allontanasse tanto, gli occhi fissi su quell’armatura rossa come il fuoco.
Il drago nero rallentò la corsa all’improvviso e virò bruscamente. Oarf si trovò a fronteggiarlo. Nihal era pronta a scagliarsi all’attacco quando vide avanzare un’enorme figura alata, grigia come il soldato che la montava. Nella postura, negli occhi che intravedeva sotto l’elmo, Nihal trovò qualcosa di familiare. Rabbrividì.
«Questo è il tuo nemico» le urlò il guerriero scarlatto. Subito dopo il suo drago cabrò e puntò verso le nuvole.
«Aspetta!» gridò lei, mentre si gettava all’inseguimento, ma il soldato grigio le si parò davanti e le ferì un braccio con la spada.
Nihal si allontanò velocemente e spostò la spada nella mano sinistra. Sopra di lei, il guerriero con l’armatura rossa volteggiava avanti e indietro, osservando la scena.
Il drago grigio spalancò le fauci in un ruggito silenzioso e sbatté lentamente le ali, avvicinandosi ancora. Quando Nihal sollevò la visiera dell’elmo per guardarlo meglio, fu presa da un senso di vertigine.
«Chi sei?» strillò Nihal al soldato, ma non ebbe risposta. «Chi sei, chi sei?»
La lama nemica la raggiunse a una gamba. Nihal non sentì il dolore. Era intontita, tremava.
Poi, a un cenno del guerriero scarlatto, il soldato si tolse meccanicamente l’elmo e non ci fu più possibilità di dubbio. I riccioli castani ora erano del colore della cenere, il sorriso spavaldo era sparito dalle labbra per lasciare spazio a una piega inespressiva, ma davanti a lei c’era Fen: il suo maestro, il suo amico, il suo amore.
Nihal rimase paralizzata.
Quante volte aveva desiderato rivederlo? Quante volte le era sembrato di risentire la sua risata? Ora era lì. Negli occhi verdi non aveva più sguardo, eppure era lui.
Fen si scagliò contro Nihal e la spada con cui l’aveva allenata tante volte andò a conficcarsi con precisione nella sua spalla.
Nihal sentì il dolore, il sangue uscire dalla ferita, ma non riuscì a reagire. «Fen» disse con un filo di voce.
Il volto del cavaliere fantasma rimase indifferente, la bocca muta.
«Fen... Sono io, Fen...» mormorò Nihal.
Un nuovo colpo la raggiunse a un fianco e scalfì l’armatura.
«Hai deciso di morire, Cavaliere?» la schernì il guerriero dall’alto.
I fendenti si abbattevano sull’armatura di Nihal e lei li riceveva tutti senza un lamento, senza muoversi.
Poi, d’un tratto, Nihal si rese conto che Oarf la stava portando via.
Un muro di fiamme li bloccò: il drago nero. «Uccidere o essere uccisi, Cavaliere» urlò il guerriero scarlatto.
Nihal scosse il capo. «Non posso...»
Una seconda fiammata investì il petto di Oarf e Nihal sentì rimbombare dentro di sé il grido di dolore del suo drago ferito. Perché, perché era costretta ad affrontare quella prova?
«Nihal! Combatti, maledizione!» La voce di Ido la riportò bruscamente alla realtà.
Nihal si riscosse. Vide Ido con la spada sguainata e Vesa che si scagliava sul drago nero.
La rabbia montò come un’onda. Rabbia e disperazione. Nihal strinse la mano intorno all’elsa e si lanciò urlando contro Fen.
Lottava con la forza della disperazione, colpiva a caso, cercava di sfuggire lo sguardo gelido dell’uomo che aveva amato.
«Sono io, Fen» continuava a ripetere, ma Fen attaccava e parava, attaccava e parava, impassibile.