Fu un lavoro lento e faticoso, soprattutto perché le mancavano gli strumenti adatti. Aveva solo una corda e il suo coltello e dovette arrangiarsi. Con la corda ottenne una serie di cappi, che nascose sotto strati di foglie secche. Poi si cimentò con qualcosa di più complicato. Scavò un fossato lungo circa quindici braccia, appena dopo la prima fila di alberi del bosco, proprio davanti all’entrata del covo dei briganti. Fu una faticaccia, poteva scavare solo con la spada e con le mani, ma per fortuna le bastò arrivare a una profondità di un paio di spanne. In mezzo pomeriggio completò l’opera. Quindi passò ad appuntire un gran numero di rami secchi per trasformarli in paletti aguzzi, che poi infisse nel fossato in modo che fossero abbastanza fitti. Coprì il dislivello del terreno con mucchi di frasche e infine legò l’ultimo pezzo di corda ad altezza di caviglia lungo il fossato. Chi fosse passato di lì, e presto qualcuno ci sarebbe passato, avrebbe avuto una brutta sorpresa.
Quando ebbe finito, il sole era quasi tramontato. Nihal sbuffò spazientita. C’era voluto più del previsto.
Si impose di riposare. Tornò sull’albero e si coprì il volto con il mantello. Avrebbe dormito fino al calare delle tenebre. Poi sarebbe passata all’azione.
I grilli avevano da poco iniziato a cantare. Era una serata limpida e fresca. Dopo l’afa del giorno, il freddo le pizzicò la pelle. Sotto il mantello aveva avuto caldo e il sudore che le si ghiacciava addosso la svegliò del tutto.
Scivolò lenta fino all’imboccatura del covo, prese una pietra ed estrasse il coltello che teneva nello stivale. Osservò da lontano la sentinella. Era la guardia sonnacchiosa del giorno prima. Era tranquilla, gli occhi socchiusi per la stanchezza, non l’aveva neppure sentita avvicinarsi.
Le sue dita si serrarono sull’elsa del pugnale, ma non provò rabbia. Quella che stava per fare era un’esperienza nuova, qualcosa di molto diverso dal combattimento. Avrebbe dovuto uccidere un uomo a sangue freddo, un uomo che non la minacciava in alcun modo, un uomo che non si aspettava di vedere sbucare la morte da un cespuglio. Nihal non aveva mai avuto remore a uccidere; la prima volta era accaduto tutto troppo in fretta anche solo per rendersene conto e in seguito ogni sentimento era stato cancellato dalla guerra. Uccidere era diventato normale, una consuetudine. Ma lì, stesa a terra, senza il rombo assordante del campo di battaglia, sgozzare un uomo tornava a essere un omicidio.
Nihal tirò con rabbia il sasso fra le felci.
Nihal si alzò e avanzò verso di lui, lenta e vigile.
La guardia fece qualche timido passo avanti, trascinandosi dietro la spada. Nihal gli fu subito addosso. Con una mano gli coprì la bocca, con l’altra gli passò il coltello sulla gola. L’uomo non emise neppure un lamento. Si afflosciò lentamente tra le braccia della ragazza. Lei lo lasciò cadere a terra e distolse lo sguardo dal suo volto.
Scosse la testa.
Tornò nella boscaglia a prendere i legni che aveva tagliato durante il giorno e li ammucchiò a lato dell’ingresso. Appiccò il fuoco con l’acciarino, quindi iniziò a correre a perdifiato. La legna era abbastanza verde da non prendere fuoco troppo in fretta, ma occorreva comunque essere rapidi.
Si arrampicò su per l’erta, individuò la buca e vi si calò. I gomiti e le ginocchia le dolevano ancora per la discesa del giorno prima, ma non ci fece caso. Tese allo spasimo le orecchie a punta, per cercare di percepire i rumori provenienti dalla grotta. Per un bel pezzo tutto ciò che sentì fu il rumore del suo corpo che scivolava a fatica giù per il terreno.
Poi, verso la fine del condotto, udì un vociare confuso, sommesso e per nulla preoccupato.