Читаем La missione di Sennar полностью

La bestia nera parve emergere dalle fiamme, come un demone, e si alzò in volo con pochi potenti battiti d’ali. Nihal sentì il cuore in gola. Dola faceva il suo ingresso in battaglia, armato di una lunga lancia e completamente ricoperto di un’armatura bruna che non lasciava intravedere nulla del suo corpo. Il ruggito possente del drago riempì l’aria e, nonostante il sole brillasse, sembrò che sul campo fossero calate le tenebre.

Nihal spronò Oarf, mentre mille voci le rimbombavano nella testa. «Dola!» urlò a squarciagola, poi si gettò su di lui con la spada in avanti.

Il primo colpo mancò il bersaglio, perché il cavaliere lo schivò con facilità. Nihal si allontanò di poco. Il sudore le scorreva a rivoli lungo le guance, sentiva la furia montare. Fece rallentare Oarf e invertì la direzione. Ora il nemico era dritto davanti a lei. Portava una maschera terribile, buia come la notte, sotto la quale scintillavano due punti luminosi che la scrutavano indecifrabili.

A Nihal sembrò che Dola ridesse. Sì, rideva di lei, della sua spada, del suo drago, della sua città. Un grido furibondo le salì alla gola. Si avventò su di lui e in quel momento fu il drago nero a ridere. Spalancò la sua bocca di vulcano e le vomitò addosso una vampata rosso sangue. Oarf schivò la fiamma con una brusca virata e Nihal ripartì all’attacco. Ancora una volta il guerriero eluse il fendente. Sotto la maschera risuonò un sogghigno sarcastico.

«Non ridere di me!» urlò Nihal, quindi si gettò su Dola con foga, brandendo la spada. Il furore le fece perdere il controllo. Stai calma. Stai calma, maledizione! I suoi colpi andavano a vuoto uno dopo l’altro, mentre quelli vibrati dal suo avversario erano vigorosi e rischiavano di disarcionarla ogni volta. Quell’uomo era dotato di una forza che Nihal non aveva mai incontrato in nessun nemico, una forza tale che dovette afferrare la spada a due mani per poterla contrastare. Ma il suo corpo era strano. Le sue braccia e le sue gambe non erano normali.

Nihal ci mise un po’ a capire: Dola aveva la stessa altezza, le stesse proporzioni di Ido. Il guerriero più potente dell’esercito del Tiranno era uno gnomo.

Nihal iniziava a essere stanca ed era sempre più furiosa. Perché non riusciva a colpirlo? Lo gnomo non si scomponeva, ribatteva a ogni fendente con una mano sola. Le voci le sussurravano di dare tutto, di perdersi in quella battaglia. Si sforzava di restare lucida, ma il suo cuore batteva impazzito, i muscoli tremavano per la tensione. Ora! Colpiscilo ora!

Quando la lama di cristallo nero riuscì a scalfire l’armatura di quell’essere, Nihal urlò di gioia, ma il gridò le morì sulle labbra. Dola le mostrò con tracotanza il braccio. Sotto gli occhi stupiti della ragazza, la scalfittura si riparò da sola e scomparì.

Le voci la intontirono, la disperazione la sommerse come una marea inarrestabile. Sentì Oarf gemere e il sangue del suo drago inzupparle la coscia. Fu allora che Nihal perse la testa. Lanciò un urlo, preparò un fendente dall’alto e calò la spada con tutta la forza che aveva. Dola alzò semplicemente il braccio e fermò il colpo con una sola mano. Si trovarono vicinissimi. Nihal poteva sentire il respiro regolare del suo avversario e per un istante ne intravide il sorriso maligno attraverso l’elmo.

Poi un dolore insopportabile la percorse da capo a piedi. Nihal sbatté gli occhi una, due volte. Intravide la lancia dello gnomo che veniva estratta piano dal suo fianco. Non si accorse neppure di cadere all’indietro.

Precipitò sul campo nemico, priva di sensi, in mezzo ad altri corpi senza vita. Non ci fu Oarf ad attutire la sua caduta. Il drago era a terra, con una gamba immobilizzata. Sputò fuoco e fiamme per tenere lontani i fammin dal corpo della sua compagna. Poi la prese fra i denti e iniziò faticosamente a trascinarla via nella polvere. Non si fermò fino a quando non furono lontani dalla battaglia, al sicuro.

19

La convalescenza di Nihal.

Durante il delirio, Nihal fu perseguitata dagli occhi roventi del drago nero e da quelli gelidi e maligni di Dola. Li vedeva inseguirla nel buio e schernirla. In sogno si guardava fuggire attraverso un’oscurità senza fine. Sentiva i propri passi rimbombare su un suolo invisibile e, per quanto corresse, il fiato del drago nero era sempre più vicino, un alito di fuoco che la insidiava fino ad avvolgerla e a dilaniarle le carni.

Poi ancora immagini di morte. Salazar che implodeva e rovinava a terra, squassata dall’incendio. Livon che le diceva: “Non mi hai ancora vendicato”. Il suo popolo che ripeteva come una nenia: “Dov’è il sangue di chi ha sparso il nostro? Dov’è la vita di chi ha spento la nostra?”.

Fu un incubo interminabile. Poi, a poco a poco, il rumore e le urla si spensero. Il terrore che la attanagliava si dissolse. Alla fine furono solo buio e silenzio e calma.

Forse questa è la morte. Sono morta.


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