Читаем La velocità del buio полностью

— Non è questo il punto — ribatte. Mi chiedo quale sia il punto, a parte la sua antipatia per me e per i miei compagni. Dà un'occhiata alla porta del mio ufficio. — Sarà meglio che tu ritorni al lavoro — dice. — O meglio, che cominci a lavorare… — Adesso guarda l'orologio dell'atrio. Sono in ritardo di due minuti e diciotto secondi. Senza più rispondere, torno nel mio ufficio e chiudo la porta. Non ho intenzione di rimettermi in pari con i due minuti e diciotto secondi, non è colpa mia se sono in ritardo. Mi sento un poco agitato.

Richiamo il lavoro di ieri e i bellissimi schemi tornano a snodarmisi in mente. Un parametro segue l'altro, facendo passare lo schema da una struttura all'altra con fluidità impeccabile. Quando torno ad alzare la testa è passata un'ora e undici minuti. Il signor Crenshaw non sarà più qui adesso, non si trattiene mai tanto a lungo. Vado nell'atrio a prendere un po' d'acqua. L'atrio è vuoto, ma vedo il segno sulla porta della palestra: c'è dentro qualcuno. Non m'importa.

Scrivo le parole che dovrò dire, poi chiamo la polizia e chiedo del primo poliziotto che si è occupato di me, il signor Stacy. Quando è in linea, sento dei rumori di fondo: altre persone stanno parlando.

— Sono Lou Arrendale — mi presento. — Lei venne da me quando le gomme della mia macchina furono tagliate. Mi disse di chiamare…

— Sì, sì — dice lui. Mi sembra impaziente, come se non mi stesse realmente ascoltando. — L'agente Isaka mi ha informato del parabrezza la settimana dopo, ma non abbiamo avuto il tempo di approfondire le indagini…

— La notte scorsa mi hanno rubato la batteria — spiego. — E qualcuno ha messo al posto della batteria un giocattolo.

— Cosa?

— Questa mattina la mia automobile non voleva partire. Ho guardato nel cofano e qualcosa mi è balzata contro. Era un diavoletto a molla che qualcuno aveva messo dove doveva stare la batteria.

— Rimanga lì, manderò qualcuno… — dice.

— Non sono a casa — spiego. — Sono al lavoro. Il mio superiore si sarebbe arrabbiato se avessi fatto tardi un'altra volta. La macchina è a casa.

— Capisco. Dov'è il giocattolo?

— Nel cofano — rispondo. — Non l'ho toccato. Ho solo richiuso.

— La faccenda non mi piace — dice Stacy. — Qualcuno davvero non le vuol bene, signor Arrendale. Una volta passi, ma… lei non ha nessuna idea di chi potrebbe essere il vandalo?

— L'unica persona che conosca e che ce l'abbia con me è il mio capo, il signor Crenshaw — dico. — A lui sono antipatici gli autistici. Vuole che proviamo un trattamento sperimentale…

— Ci sono dunque altri autistici nel posto dove lavora?

Mi rendo conto che non può saperlo. — La nostra sezione è costituita solo da autistici — dico. — Però non credo che il signor Crenshaw farebbe una cosa del genere. Benché a lui non piaccia che noi abbiamo un permesso speciale per guidare e un parcheggio tutto per noi. Pensa che dovremmo prendere la metropolitana come tutti gli altri.

— Ehm. E tutti i vandalismi hanno preso di mira la sua macchina.

— Sì. Ma lui non sa nulla del fatto che io tiro di scherma.

— C'è altro?

Non desidero lanciare false accuse. Farlo è sbagliato; ma non voglio nemmeno che la mia macchina subisca altri danni. Mi fa perdere tempo, confonde i miei orari e poi costa denaro.

— C'è qualcuno al Centro, Emmy Sanderson, che pensa sia sbagliato da parte mia avere amici normali — dico. — Però lei non sa dove si riunisce il mio circolo di scherma. — Io non credo veramente che sia stata Emmy, tuttavia lei e il signor Crenshaw sono le uniche persone che si siano arrabbiate con me negli ultimi tempi. Ma lo schema appare sbagliato, sia per lei che per il signor Crenshaw.

— Emmy Sanderson — dice lui, ripetendo il nome. — E lei non crede che sappia dove vi radunate per tirare di scherma?

— No. — Emmy non è mia amica, comunque io non credo che abbia fatto quelle cose. Don è mio amico e io non voglio credere che le abbia fatte.

— Non è più probabile che il nostro vandalo sia qualcuno che fa parte del circolo di scherma? Lì c'è qualcuno col quale lei non va d'accordo?

Di colpo mi sento tutto sudato. — Quelli sono miei amici — dico. — Gli amici non fanno del male agli amici.

Stacy grugnisce e non capisco cosa voglia dire il suo grugnito. — Ci sono amici e amici. Mi parli delle persone che fanno parte di quel gruppo.

Gli parlo prima di Tom e Lucia e poi degli altri; lui si annota i nomi.

— Erano tutti lì in queste ultime settimane?

— Non tutti ogni settimana. — Gli dico quelli che riesco a ricordare. — E Don è passato a un altro istruttore, perché si è offeso con Tom.

— Con Tom? Non con lei?

— No. — Non so come riferire l'accaduto senza criticare degli amici, e criticare gli amici è sbagliato. — Don certe volte scherza, ma è mio amico — dico. — Si è offeso con Tom perché Tom mi ha parlato di una cosa che Don aveva fatto molto tempo fa, e Don non voleva che me la dicesse.

— Qualcosa di brutto? — chiede Stacy.

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