Un lieve ronzio: il ventilatore si è messo in funzione. Chiudo gli occhi, aspetto tre secondi e li riapro. La stanza è piena di colori e movimenti, spirali e girandole sono tutte in moto, riflettendo la luce in tanti scintillii mutevoli. Metto da parte il libro e torno al lavoro. L'oscillazione regolare dei bagliori mi calma: ho sentito persone normali chiamarla caotica, ma non è vero. È invece uno schema regolare e prevedibile, e mi è costato settimane per renderlo così. Credo ci siano metodi più facili per farlo, ma io ho dovuto regolare ognuna delle parti mobili finché non si muoveva alla velocità giusta in rapporto a quella delle altre.
Suona il telefono. Non mi piace che il telefono suoni, mi distrae da quel che sto facendo e all'altro capo ci sarà qualcuno che si aspetterà che io cominci subito a parlare. Tiro un respiro profondo. Dico: — Qui Lou Arrendale.
— Ah… parla l'agente Stacy — dice la voce. — Ascolti… abbiamo mandato qualcuno al suo appartamento. Mi ripeta di nuovo il numero di targa dell'auto.
Glielo recito.
— Uhm. Bene, avrò bisogno di parlare con lei di persona. — Segue una lunga pausa. — Io penso che lei possa essere in pericolo, signor Arrendale. Chiunque stia facendo questo non è davvero una persona perbene. Quando i nostri ragazzi hanno cercato di tirar fuori quel giocattolo, c'è stata una piccola esplosione.
— Esplosione!
— Già. Per fortuna i nostri ragazzi sono stati prudenti. La faccenda non gli piaceva, così avevano chiamato la squadra esplosivi. Ma se lei avesse preso il giocattolo, ci avrebbe rimesso un paio di dita… o la cosa avrebbe potuto esploderle in faccia.
— Vedo. — Potevo davvero vedere tutto, visualizzarlo perfettamente. Ero stato sul punto di tendere la mano e prendere il giocattolo… e se lo avessi fatto… Di colpo mi sento gelare, le mani cominciano a tremarmi.
— Dobbiamo davvero prendere questa persona. A casa del suo istruttore di scherma non c'è nessuno…
— Tom insegna all'università — dico. — Ingegneria chimica.
— Questo ci aiuta. E sua moglie?
— Lucia è medico — rispondo. — Lavora all'ospedale. Lei davvero pensa che questa persona voglia farmi del male?
— Vuole sul serio causarle dei guai — dice il poliziotto. — E il vandalismo sembra diventare sempre più violento. Lei può venire alla stazione di polizia?
— Non posso allontanarmi da qui fino a dopo il lavoro, o il signor Crenshaw si arrabbierà con me. — Se qualcuno vuole farmi del male, non voglio che altri se la prendano con me.
— Manderemo qualcuno, allora — decide il signor Stacy. — In quale edificio si trova? — Glielo dico, gli spiego da quale porta entrare e quale strada fare per arrivare al nostro parcheggio, e lui continua: — Saremo lì entro mezz'ora. Abbiamo delle impronte digitali, dovremo prendere le sue per paragonarle con le altre. Le sue impronte dovrebbero essere dappertutto nella macchina… poi ultimamente lei l'ha fatta riparare, quindi ci saranno impronte di altri. Ma se ne troviamo alcune che non risultino essere sue o degli operai che hanno lavorato all'auto… avremo qualcosa di solido su cui basarci.
Mi chiedo se devo informare il signor Aldrin o il signor Crenshaw che sta arrivando la polizia per parlarmi. Ho idea che il signor Crenshaw si arrabbierà per questo. Il signor Aldrin pare non vada in collera con tanta facilità. Chiamo il suo ufficio.
— La polizia sta venendo per parlarmi — dico. — Mi rimetterò in pari con il tempo perso.
— Lou! Cos'è successo? Che hai fatto?
— È a causa della mia macchina — dico.
Prima che possa spiegarmi meglio, lui riprende a parlare, in fretta. — Lou, non dire nulla. Ti troveremo un avvocato. Qualcuno si è fatto male?
— Non si è fatto male nessuno — dico, e lo sento tirare un sospirone.
— Bene, questo è già qualcosa.
— Quando ho aperto il cofano, non ho toccato l'oggetto.
— Quale oggetto? Di cosa stai parlando?
— Della… della cosa che qualcuno mi ha messo nella macchina. Sembrava un giocattolo, un diavoletto a molla.
— Aspetta… aspetta. Mi stai dicendo che la polizia viene a causa di qualcosa che è successo a te, qualcosa che ha fatto qualcun altro? Non qualcosa che hai fatto tu?
— Io non l'ho toccato — ripeto. Le parole che lui ha detto mi filtrano nel cervello lentamente, una dopo l'altra; l'eccitazione nella sua voce mi ha impedito di sentirle con chiarezza. In un primo tempo lui ha creduto che io avessi fatto qualcosa di brutto, qualcosa capace di far venire la polizia. Quest'uomo che ho conosciuto fin da quando ho cominciato a lavorare qui… ha creduto che io potessi aver fatto qualcosa di brutto. Mi sento scosso.
— Chiedo scusa — dice il signor Aldrin prima che io possa parlare. — Ti ho dato l'impressione… devo averti dato l'impressione… sono balzato alla conclusione che tu avessi fatto qualcosa di sbagliato. Mi dispiace. So che non faresti mai cose del genere. Però continuo a pensare che hai bisogno di un avvocato della compagnia mentre parli con la polizia.