Il mio stomaco si contrae ancora di più e mi rendo conto che non è paura ma eccitazione. Simon può dimostrarsi più bravo di Tom. Vincerà, ma io imparerò. Si muove di sbieco e io lo seguo. Attacca diverse altre volte, sempre molto velocemente, e io riesco a parare tutti i suoi assalti, ma non attacco a mia volta. Voglio scoprire il suo schema, che è molto variato. Ancora e ancora. Basso alto alto basso basso alto basso basso basso alto alto: anticipo la sua prossima mossa e attacco mentre lui porta di nuovo un colpo basso, e questa volta lui non riesce a parare bene e io lo colpisco appena, di striscio, alla spalla.
— Buono — dice lui facendo un passo indietro. — Eccellente. — Lancio un'occhiata a Tom, che annuisce sorridendo. Max si stringe le mani sollevate sopra la testa e sorride anche lui. Io provo un urto di nausea. Nel momento del contatto io ho visto la faccia di Don e sentito il colpo che gli ho assestato e l'ho visto afflosciarsi a terra. Scuoto la testa.
— Tutto bene? — chiede Tom. Non voglio dir nulla. Non so se desidero continuare.
— Meglio fare una pausa — dice Simon, benché ci siamo battuti solo per un paio di minuti. Mi sento sciocco: so che lo fa per me e non dovrei essere depresso, ma lo sono. Ora ritorna ancora e ancora quell'impressione sulla mia mano, l'afrore del respiro che Don esala dopo il colpo, suono e visione e impressione tutto in una volta. Parte della mia mente ricorda il libro, la discussione sulla memoria, sullo stress e sul trauma, ma per la maggior parte provo solo una gran tristezza, un'aguzza e chiusa spirale di pena, paura e rabbia unite insieme.
Batto le palpebre e lotto per rimettermi, mentre una frase musicale mi attraversa la mente: la spirale si apre e si dilegua. — Sto… bene… — dico. Mi è ancora difficile parlare, ma già mi sento meglio. Alzo la mia spada. Simon fa un passo indietro e alza la sua.
Ripetiamo il saluto. Questa volta il suo attacco è altrettanto veloce ma diverso. Non riesco a distinguere il suo schema e decido di attaccare a mia volta. La sua lama scivola attraverso la mia parata e mi tocca nella parte sinistra dell'addome. — Toccato — dico.
— Mi stai facendo faticare davvero troppo — dice Simon. Sento infatti che ha il respiro affannoso, ma ce l'ho anch'io. — Mi hai quasi colpito quattro volte.
— Ho sbagliato la parata — commento. — Era troppo debole.
— Vediamo se farai di nuovo lo stesso errore — dice lui. Saluta e questa volta io attacco per primo. Non riesco a toccarlo, e i suoi attacchi sembrano più veloci dei miei; devo parare tre o quattro volte prima di vedere un'occasione favorevole. Ma prima che io lo tocchi, lui mi colpisce alla spalla destra.
— È proprio una fatica eccessiva — esclama. — Lou, sei uno schermidore di prim'ordine. Lo avevo già capito al torneo: i novellini non vincono mai e tu hai avuto qualche problema tipico di chi si batte per la prima volta, ma era chiaro che sapevi bene quel che facevi. Hai mai considerato l'idea di dedicarti alla scherma classica?
— No — dico. — Io conosco solo Tom e Lucia…
— Dovresti pensarci su. Tom e Lucia sono istruttori migliori di tanti schermidori da cortile… — Simon sorride a Tom che fa una smorfia. — Ma alcune tecniche classiche potrebbero migliorare il tuo lavoro di gambe. Quest'ultima volta ti ho colpito non perché sono stato più veloce di te, ma perché sapevo esattamente dove mettere il piede per ottenere la massima estensione con la minima esposizione. — Simon si toglie la maschera, appende la spada alla rastrelliera esterna e mi tende la mano. — Grazie, Lou, è stato un bell'incontro. Quando avrò ripreso fiato, forse potremo batterci ancora.
— Grazie — dico io, e gli stringo la mano. La stretta di Simon è più ferma di quella di Tom. Sono anch'io a corto di fiato. Appendo la mia spada, metto la maschera sotto una sedia e mi siedo. Mi chiedo se sono risultato simpatico a Simon o se lui farà come Don e mi prenderà in antipatia in seguito. Mi chiedo se Tom gli ha detto che sono autistico.
16
— Mi dispiace — dice Lucia. È uscita con la sua attrezzatura e siede accanto a me, alla mia destra. — Non avrei dovuto fare quella specie di scenata.
— Io non me la sono presa — dico. Ed è vero, perché adesso so che lei ha capito che era sbagliata e non la ripeterà.
— Bene. Senti… io so che ti piace Marjory e che tu piaci a lei. Non lasciare che questo pasticcio con Don rovini tutto, capito?
— Io non so se piaccio a Marjory in modo speciale — dico. — Don ha detto di sì, ma lei non ha mai detto nulla.
— Lo so. È difficile. Le persone adulte non hanno la mancanza d'inibizioni dei bambini, e in questo modo si creano un sacco di complicazioni.
Marjory esce dalla casa tirando su la lampo del giubbotto da scherma. Sorride a me o a Lucia… non sono sicuro della destinazione… quando la lampo s'inceppa. — Ho mangiato troppe frittelle — si giustifica — o mi sto muovendo troppo poco o cose del genere.