Tolland era al suo fianco. «Lo so» disse, parlando ad alta voce per sovrastare il rumore della corrente impetuosa. «Sembra più grande in televisione.»
Rachel annuì. «E anche più stabile.»
«Questa è una delle navi più sicure in mare. Te lo giuro.» Le poggiò una mano sulla spalla per guidarla attraverso il ponte.
Il calore di quella mano la placò più di qualsiasi parola. Ciononostante, guardò la parte posteriore della nave e vide l'acqua ribollire, come se stessero avanzando a tutta velocità. "Siamo seduti su un megapennacchio" pensò.
Al centro della parte anteriore del ponte di poppa, Rachel adocchiò la forma familiare di un sommergibile monoposto Triton appeso a un gigantesco verricello. Il Triton, così chiamato dal dio greco del mare, non assomigliava affatto al suo predecessore, l'Alvin, una scatola d'acciaio. Una cupola emisferica di perspex faceva sembrare il Triton più una gigantesca vasca per pesci rossi che un batiscafo. Poche cose terrorizzavano Rachel maggiormente dell'idea di immergersi centinaia di metri sotto la superficie del mare con solo un foglio di plastica trasparente tra il proprio viso e l'abisso. Secondo Tolland, invece, la sola parte sgradevole dell'immersione sul Triton era la fase iniziale, e cioè essere calati attraverso la botola sul ponte della
«Xavia sarà nell'idrolaboratorio» disse Tolland, attraversando il ponte. «Da questa parte.»
Rachel e Corky lo seguirono, mentre il pilota della guardia costiera restava a bordo dell'elicottero con il divieto assoluto di usare la radio.
«Date un'occhiata» disse Tolland, fermandosi alla battagliola di poppa.
Rachel si avvicinò, esitante. L'acqua era almeno dieci metri sotto di loro, eppure se ne percepiva il calore.
«Più o meno la temperatura di un bagno caldo» gridò Tolland, per sovrastare il rumore della corrente. Tese il braccio verso un quadro comandi. «Guardate!» Premette un interruttore.
Un ampio cerchio di luce si allargò sull'acqua dietro la barca, illuminandola dall'interno come una piscina. Rachel e Corky restarono a bocca aperta.
Nella zona intorno alla nave, videro decine di ombre spettrali. A pochi metri sotto la superficie rischiarata, fitte schiere di forme scure e snelle nuotavano controcorrente, con l'inconfondibile cranio a forma di martello che si sollevava e si abbassava, come a battere un ritmo preistorico.
«Cristo, Mike» balbettò Corky. «Sono proprio felice che tu abbia voluto mostrarcelo.»
Rachel si sentì irrigidire. Avrebbe voluto indietreggiare, ma non riusciva a muoversi. Era impietrita da quella visione terrificante.
«Incredibili, vero?» Tolland le aveva di nuovo posato la mano sulla spalla. «Si soffermano per settimane nelle zone calde. Questi personaggi hanno il naso più affinato di tutte le creature marine, lobi olfattivi del telencefalo molto sviluppati. Percepiscono l'odore del sangue a un chilometro di distanza.»
Corky pareva scettico. «Lobi olfattivi del telencefalo?»
«Non mi credi?» Tolland si mise a frugare in un contenitore di alluminio. Dopo un momento, ne estrasse un pesce morto che tagliò a pezzi. «Perfetto.» Il pesce cominciò a sanguinare.
«Mike, per l'amor del cielo. È disgustoso» commentò Corky.
Tolland lanciò il pesce in mare. Nell'istante in cui raggiunse l'acqua, sei o sette squali schizzarono in superficie e snudando i denti argentei azzannarono con furia il pesce insanguinato. Un attimo dopo, era sparito.
Atterrita, Rachel fissò Tolland, che aveva già un altro pesce in mano. Stesso tipo, stesse dimensioni.
«Questa volta, niente sangue» disse. Senza tagliarlo, lo gettò in acqua. Il pesce sprofondò, e non successe nulla. Gli squali non vi fecero alcun caso. L'esca fu trasportata via dalla corrente senza destare il loro interesse.
«Attaccano soltanto in base all'olfatto» spiegò Tolland, conducendoli via. «Infatti, si potrebbe nuotare in mezzo a loro senza correre alcun rischio, a patto di non avere ferite aperte.»
Corky indicò i punti di sutura sulla sua guancia.
Tolland annuì. «Già. Niente nuotata per te.»
102
Il taxi di Gabrielle Ashe non avanzava di un metro.
Bloccata nei pressi del Roosevelt Memorial, guardò i veicoli di emergenza lontani con l'impressione che un surrealistico banco di nebbia fosse calato sulla città. Alla radio, servizi speciali annunciavano la probabile presenza di un esponente governativo di primo piano sulla macchina esplosa.
Digitò il numero del senatore sul cellulare. Sicuramente si stava chiedendo perché lei ci impiegasse tanto.
La linea era occupata.
Lanciò un'occhiata al tassametro e corrugò la fronte. Alcune macchine salivano sul marciapiede e invertivano la marcia per trovare strade alternative. L'autista si voltò verso di lei. «Vuole aspettare? I soldi sono suoi.»
Gabrielle vide che stavano arrivando altre auto di soccorso. «No, torniamo indietro.»
Un grugnito affermativo, poi l'uomo iniziò la macchinosa inversione a U. Mentre sobbalzavano sul marciapiede, Gabrielle tentò di nuovo di chiamare Sexton.
Ancora occupato.