Читаем Le fontane del Paradiso полностью

Conosceva benissimo i termini del contratto che aveva firmato, e li accettava; ormai era troppo tardi per protestare sulle clausole a caratteri minuscoli. Qualsiasi sciocco poteva trasmettere i propri geni, e quasi tutti lo facevano. Però, che la storia gli rendesse credito o meno, pochi uomini avrebbero potuto fare quello che lui aveva fatto e stava per fare.

Nelle ultime tre ore, Dev aveva visto del Capolinea Terrestre più di quanto non vedessero i soliti gruppi di VIP. Era penetrato nella montagna a livello del suolo, seguendo il percorso fino alla Stazione Sud, quasi completa; e gli erano stati mostrati i complessi per lo smistamento passeggeri e bagagli, il centro di controllo, l'enorme piattaforma girevole su cui le capsule in arrivo dai binari est e ovest sarebbero state trasferite ai binari in salita nord e sud. Aveva ammirato la colonna alta cinque chilometri (una gigantesca canna di pistola puntata contro le stelle, come già l'avevano definita sottovoce centinaia di giornalisti) lungo cui si sarebbero alzate e sarebbero discese le capsule. E le sue domande avevano distrutto tre guide, finché l'ultima, felicissima, l'aveva consegnato allo zio.

— Eccolo qui, Van — disse Warren Kingsley quando arrivarono, servendosi dell'ascensore ad alta velocità, alla cima tronca della montagna. — Portatelo via prima che mi rubi il lavoro.

— Non sapevo che fossi così bravo in queste faccende, Dev.

Il ragazzo parve offeso, e un tantino deluso. — Zio, non ti ricordi il Tecnomeccano numero dodici che mi hai regalato quando ho compiuto dieci anni?

— Certo, certo. Scherzavo. — (E, a dire il vero, non è che si fosse proprio scordato la scatola di costruzioni; gli era solo uscita di mente per un attimo.) — Non hai freddo, quassù? — A differenza di tutti gli adulti, il ragazzo aveva rifiutato il consueto termocappotto di stoffa leggera.

— No. Sto benissimo. Che tipo di jet è questo? Quand'è che aprirete la colonna? Posso toccare i nastri?

— Capisci cosa intendevo? — ridacchiò Kingsley.

— Uno: è il jet speciale dello sceicco Abdullah. Abbiamo ospite suo figlio Feisal. Due: non toglieremo la copertura finché la Torre raggiungerà la montagna ed entrerà nella colonna. Ci serve come piattaforma di lavoro e non lascia passare la pioggia. Tre: se vuoi puoi toccare i nastri… Non correre! A quest'altezza ti fa male.

— Ne dubito, a dodici anni — commentò Kingsley, mentre la schiena di Dev spariva in fretta. Loro due se la presero calma. Raggiunsero il ragazzo all'ancora del lato est.

Dev stava fissando, come già avevano fatto tante migliaia di ragazzi, il sottile nastro grigio che si alzava dal suolo e correva incontro al cielo in verticale. Il suo sguardo lo seguì su, su, su, fino a che la sua testa non poté più piegarsi all'indietro. Morgan e Kingsley non lo imitarono, anche se la tentazione, dopo tutti quegli anni, era ancora forte. E non gli dissero che alcuni turisti si sentivano talmente male da svenire e dover essere trascinati via.

Il ragazzo era in gamba: fissò intensamente lo zenit per quasi un minuto, come se sperasse di vedere le migliaia di uomini e i milioni di tonnellate di materiale sospesi oltre il blu profondo del cielo. Poi chiuse gli occhi con una smorfia, scosse la testa, e si guardò un attimo i piedi quasi ad assicurarsi che si trovava ancora sulla solida, incrollabile Terra.

Tese una mano con cautela e carezzò il nastro sottile che univa il pianeta con la sua nuova luna.

— Cosa succederebbe se si spezzasse? — chiese.

Era una vecchia domanda. Molti restavano sorpresi dalla risposta.

— Pochissimo. A questo punto, non si trova praticamente sotto tensione. Se tu tagliassi il nastro resterebbe lì, a dondolare al vento.

Kingsley ebbe un'espressione di disgusto. Tutti e due sapevano che quella semplificazione era eccessiva. In quel momento, ognuno dei quattro nastri era sottoposto a una tensione di circa cento tonnellate; ma era una cifra trascurabile a paragone dei pesi che avrebbero sorretto quando, integrati nella struttura della Torre, avessero cominciato a svolgere il loro lavoro. Comunque era inutile confondere il ragazzo con dettagli del genere.

Dev meditò sulla risposta; poi diede un colpetto sperimentale al nastro, quasi sperasse di cavarne una nota musicale. Ma l'unica reazione fu un "clic" modestissimo che svanì subito.

— Se tu lo colpissi con un martello da fabbro — disse Morgan — e ritornassi dieci ore dopo, faresti in tempo a sentire l'eco dalla Stazione di Mezzo.

— Ma non un minuto più tardi — disse Kingsley. — La struttura produce troppo smorzamento.

— Non rovinare tutto, Warren. Adesso vieni a vedere una cosa davvero interessante.

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