Eppure tutti ebbero talmente da fare che nessuno si annoiò. Il professor Sessui e i suoi tre allievi avevano compiuto osservazioni, controllato gli strumenti, e avevano predisposto ogni cosa in modo da non perdere tempo appena arrivati alla Torre. L'autista della capsula, l'assistente tecnico e l'unico steward (i tre formavano l'intero equipaggio) ebbero parecchio da fare a loro volta, perché quello non era un viaggio di routine. Le "fondamenta", venticinquemila chilometri più in basso della Stazione di Mezzo, e ormai lontane solo seicento chilometri dalla Terra, non erano mai state raggiunte dopo la costruzione. Sino ad allora era sembrato del tutto inutile andarci, visto che i pochi monitor non avevano mai registrato niente d'irregolare. Non che potesse succedere molto, visto che la base era solo una camera pressurizzata di quindici metri quadrati, uno dei tanti rifugi d'emergenza disposti a intervalli lungo la Torre.
Il professor Sessui aveva sfruttato tutta la sua notevole influenza per avere accesso a quel luogo unico, che si spostava attraverso la ionosfera alla velocità di due chilometri al giorno, in attesa del rendez-vous con la Terra. Era essenziale, aveva impetuosamente sostenuto, che i suoi strumenti venissero installati prima che l'ondata di macchie solari raggiungessero il culmine.
L'attività solare era già giunta a livelli senza precedenti, e i giovani assistenti di Sessui trovavano spesso difficile concentrarsi sugli strumenti: le magnifiche aurore boreali all'esterno erano una distrazione troppo forte. Per ore, sia l'emisfero nord che quello sud si riempivano di cortine e fiamme di un verde pallido in lento movimento, belle e stupefacenti; eppure erano solo pallidi spettri del grandioso, celestiale spettacolo che si svolgeva attorno ai poli. Era estremamente raro che l'aurora boreale si spostasse così tanto; solo una volta ogni molte generazioni invadeva i cieli dell'equatore.
Sessui aveva ricondotto al lavoro gli allievi, ricordando loro che avrebbero avuto tutto il tempo di guardare durante il lungo viaggio di ritorno alla Stazione di Mezzo. Eppure, cosa notevole, persino il professore restò di tanto in tanto incollato al finestrino d'osservazione per interi minuti, soggiogato dallo spettacolo dei cieli in fiamme.
Qualcuno aveva battezzato l'impresa "Spedizione alla Terra", termine che, dal punto di vista della distanza, era esatto al novantotto per cento. Mentre la capsula scendeva lungo la facciata della Torre alla penosa velocità di cinquecento chilometri l'ora, si manifestava la vicinanza sempre maggiore del pianeta. La gravità cresceva poco per volta, passando dalla deliziosa leggerezza (un po' inferiore a quella della Luna) della Stazione di Mezzo a una forza simile a quella terrestre. Per chi avesse pratica di voli spaziali era un fatto davvero bizzarro: avvertire anche un minimo di gravità prima del momento del rientro nell'atmosfera sembrava un capovolgimento dell'ordine naturale delle cose.
A parte le lamentele per il cibo, stoicamente sopportate dall'occupatissimo steward, il viaggio si era svolto senza incidenti. A cento chilometri dalle fondamenta erano entrati dolcemente in funzione i freni, e la velocità era diminuita. Poi fu abbassata fino a cinquanta chilometri orari; perché, come aveva commentato uno degli assistenti di Sessui: — Non sarebbe un po' imbarazzante se volassimo sui binari?
L'autista (che insisteva a farsi chiamare pilota) ribatté che la cosa era impossibile, dal momento che le scanalature di guida seguite dalla capsula terminavano diversi metri prima della base; inoltre esisteva un complesso sistema di respingenti, nel caso che tutti e quattro i sistemi frenanti, indipendenti l'uno dall'altro, non funzionassero. E tutti ammisero che la battuta dell'assistente, oltre a essere perfettamente ridicola, era di pessimo gusto.
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La meteora
Il grande lago artificiale, noto da duemila anni col nome di Mare di Paravana, era calmo e tranquillo sotto lo sguardo di pietra del suo costruttore. Pochi ormai visitavano la statua solitaria del padre di Kalidas, ma la sua opera, se non la fama, era sopravvissuta a quella del figlio; e aveva reso al paese servigi infinitamente superiori, donando cibo e acqua a cento generazioni di uomini. E a molte generazioni di uccelli, cervi, bufali, scimmie, e ai loro predatori, come il leopardo lustro e ben paciuto che in quel momento beveva sulla riva del lago. Quegli enormi felini stavano diventando troppo comuni e spesso erano fonte di guai, adesso che non avevano più niente da temere da parte dei cacciatori. Ma non attaccavano mai l'uomo, a meno che non venissero molestati.
Sicuro di sé, il leopardo beveva tranquillamente l'acqua, mentre le ombre si addensavano attorno al lago e l'oscurità avanzava da est. D'improvviso rizzò le orecchie e si mise all'erta; ma i semplici sensi umani non avrebbero notato nessun cambiamento sulla terra, in acqua o in cielo. La sera era tranquilla come sempre.