Così dicendo mostrò lo schizzo sommario di una semplice antenna Yagi e in poche parole spiegò a Mackay il suo progetto.
«Questo aggeggio è il radiatore effettivo: gli altri sono congegni direzionali e riflettori. È un dispositivo antiquato, ma facile da fabbricare, e dovrebbe riuscire allo scopo. Chiama Hilton, se hai bisogno di aiuto. Quanto tempo ti ci vorrà?»
Mackay, che per essere uno scienziato di quella fatta possedeva un’abilità manuale incredibile, diede un’occhiata al disegno e al piccolo mucchio di materiale che Bradley aveva raccolto.
«Un’ora circa» rispose, già all’opera. «Tu dove vai adesso?»
«Devo salire sull’ossatura e disinnestare il filo del trasmettitore del faro. Porta l’equipaggiamento davanti al compartimento stagno appena sei pronto, d’accordo?»
Mackay se n’intendeva poco di radio, ma aveva capito con sufficiente chiarezza quello che Bradley intendeva fare. In quel momento il minuscolo radiofaro dell’
Un’ora circa più tardi, Gibson s’imbatté in Mackay che correva frettoloso per la nave trascinandosi dietro una fragile struttura di fili di metallo paralleli, tenuti divisi da asticciole di plastica. Guardò stupefatto quella roba mentre seguiva Mackay al compartimento stagno dove Bradley lo stava già aspettando impaziente nella sua ingombrante tuta spaziale, il casco ancora penzolante dal collo.
«Qual è la stella più vicina al missile?» chiese Bradley.
Mackay eseguì un rapido calcolo mentale.
«In questo momento non si trova vicino a nessun punto dell’eclittica» rifletté. «Le ultime cifre che ho segnato… vediamo un po’… declinazione circa quindici nord, ascensione esatta verso le quattordici. Penso che sia… non riesco mai a ricordare queste cose!, in qualche punto in Boote. Ah, sì, non dovrebbe essere lontano da Arturo, a una distanza comunque di non oltre dieci gradi, così a occhio e croce. Ti faccio il calcolo esatto tra un minuto.»
«Per cominciare non c’è male. Io intanto giro il faro. Chi c’è nella cabina delle segnalazioni in questo momento?»
«Il Comandante e Fred. Li ho chiamati al telefono e sono in ascolto sul monitore. Mi terrò in contatto con loro per mezzo del trasmettitore dell’ossatura.»
Bradley si allacciò il casco e scomparve nel compartimento stagno. Gibson lo vide partire con una punta di invidia. Aveva sempre desiderato indossare una tuta spaziale, ma per quanto l’avesse chiesto ripetutamente a Norden, il capitano gli aveva sempre risposto che era contro il regolamento. Le tute spaziali erano meccanismi complessi e se lui avesse commesso un errore nel maneggiarne una… ci sarebbe stato da pagare un pozzo di quattrini e a loro sarebbe magari toccato di predisporre un funerale che si sarebbe svolto in circostanze alquanto insolite.
Bradley non si perdette certo ad ammirare le stelle, non appena fu uscito dal portello esterno. Avanzò lentamente lungo la scintillante superficie dello scafo manovrando i suoi dispositivi a reazione finché non raggiunse il tratto di fasciame metallico già rimosso in precedenza. Sotto, una intricata rete di cavi e di fili era esposta all’accecante luce solare, e un cavo era già stato tagliato. Eseguì un rapido collegamento provvisorio, scuotendo tristemente la testa nell’osservare l’orribile pasticcio che certamente avrebbe riverberato metà dell’energia dritto filato nel trasmettitore. Quindi localizzò Arturo e orientò il faro in quella direzione. Poi accese la radio inserita nel casco.
«C’è qualche speranza?» chiese ansiosamente.
Dall’altoparlante gli rispose la voce malinconica di Mackay.
«Nemmeno un briciolo. Ti metto in contatto con l’ufficio comunicazioni.»
Norden confermò quanto aveva detto Mackay.
«Il segnale seguita a pervenire regolarmente, ma niente fa pensare che ci abbia avvistati.»
Bradley non sapeva più che cosa pensare. Fino a quel momento era stato sicurissimo di farcela. Come minimo, grazie al suo sistema, la potenza del faro puntato in quell’unica direzione doveva essere almeno decuplicata.
Richiamò un’altra volta Mackay.
«Senti, Mac» disse in fretta «ho bisogno che tu mi controlli di nuovo quelle coordinate. Poi vieni qui a dare una mano. Io mi occuperò del trasmettitore.»
Non appena Mackay gli ebbe dato il cambio, Bradley tornò di volata nella cabina comunicazioni. Trovò Gibson e gli altri affollati con aria immusonita intorno al monitore da cui giungeva con monotonia esasperante il sibilo ininterrotto del missile lontanissimo e che s’allontanava sempre più.
In Bradley non c’era più traccia di quei suoi movimenti solitamente così pigri, quasi felini, mentre lui esaminava diagrammi di circuito a decine e faceva man bassa nel raccoglitore delle comunicazioni. Gli bastarono pochi secondi per far scorrere un paio di fili nel cuore del trasmettitore del faro. Seguitando a lavorare, bersagliò Hilton con un vero fuoco di fila di domande.