Lo videro scomparire nel compartimento stagno della cupola principale e agli impazienti passeggeri parve che la sua assenza si prolungasse per un tempo lunghissimo. Infine videro la porta esterna riaprirsi e la loro guida uscirne e avviarsi lentamente verso di loro.
«Allora?» domandò Gibson mentre il giovane risaliva sull’automezzo. «Cosa vi hanno detto?»
Il geologo non rispose. Senza parlare avviò il motore, e la
«Be’? E la tanto decantata ospitalità marziana?» protestò Mackay.
«Non ci hanno invitati a entrare?»
Il geologo sembrava estremamente impacciato. La sua faccia aveva l’espressione di chi si è reso conto di aver commesso una fesseria. Almeno così parve a Gibson. Il giovane si schiarì nervosamente la voce.
«È una stazione di ricerche» disse, cercando accuratamente le parole. «È poco che l’hanno impiantata, e per questo io non ne sapevo niente. Non possiamo entrare perché tutto è completamente sterilizzato, e non vogliono correre il rischio che i visitatori portino dentro delle spore. Avremmo dovuto cambiarci da capo a piedi e fare un bagno nel disinfettante.»
«Capisco» disse Gibson. Qualcosa gli diceva di non insistere con le domande. Grazie al suo infallibile intuito aveva capito che la sua guida gli aveva detto solo una parte della verità, e la meno importante. In quel momento tutti i dubbi che si erano accumulati nella sua mente si riproposero alla sua attenzione. Tutto era cominciato ancora prima del suo arrivo su Marte, era cominciato con il dirottamento dell’
Qualcosa stava bollendo in pentola. Che cosa, Gibson non poteva immaginarlo, ma doveva essere certamente qualcosa di grosso perché interessava non soltanto Marte ma anche Phobos. Era qualcosa che la maggior parte dei coloni ignorava, e che si affrettava a tenere nascosta non appena ne veniva involontariamente a conoscenza.
Marte dunque nascondeva un segreto. E a chi lo teneva nascosto se non alla Terra?
10
Il Grand Hotel marziano aveva ora ben due residenti, il che imponeva al suo personale improvvisato uno sforzo non comune. Gli altri compagni di viaggio di Gibson si erano sistemati chi qua e chi là presso privati, ma poiché Jimmy non conosceva nessuno a Porto Lowell aveva deciso di accettare l’ospitalità offertagli dal giornalista. Gibson si chiedeva se l’esperimento sarebbe riuscito. Non aveva alcuna intenzione di forzare troppo la loro amicizia finora alquanto superficiale, e se Jimmy lo avesse frequentato troppo i risultati avrebbero potuto essere disastrosi. Ricordava un epigramma lanciato una volta al suo indirizzo dal suo peggiore nemico:
La sua vita nella cittadina aveva ormai preso un ritmo normale. Il mattino lo dedicava al lavoro, a mettere cioè sulla carta le sue impressioni marziane. Un’impresa alquanto presuntuosa considerate le poche esperienze avute sino a quel momento. Il pomeriggio era riservato invece ai giri di ispezione e ai colloqui e interviste con gli abitanti del Porto.
Una volta l’intero equipaggio dell’
Jimmy aveva due motivi per accompagnare Gibson nei suoi giri per la città. Prima di tutto il giornalista aveva il permesso di andare quasi ovunque, e così il ragazzo poteva visitare tutti i posti più interessanti che a lui invece sarebbero stati certamente preclusi. Il secondo era puramente personale, e consisteva nel suo crescente interesse per la personalità di Martin Gibson.