La cabina era piccola, ma geniale nella sua impostazione, e arredata con ottimo gusto. Un gioco ingegnoso di luci e le pareti ricoperte di specchi davano l’illusione che fosse molto più spaziosa di quello che era in realtà, e il letto a perno poteva essere ribaltato durante il
Gibson trascorse l’ora successiva a sistemare le Sue cose e a giocherellare incuriosito con gli aggeggi e gli interruttori disseminati un po’ ovunque nella cabina. Ma il congegno che gli piacque di più fu uno specchio che, sollecitato in modo misterioso dalla pressione di un pulsante, si trasformava in un boccaporto dal quale si potevano ammirare le stelle. Si chiese come diavolo funzionasse.
Dopo un tempo imprecisato una serie di colpi discreti alla porta della cabina risvegliò bruscamente Gibson dal sonno in cui era sprofondato.
Si vide davanti Jimmy Spencer, un poco ansimante.
«Il capitano vi manda i suoi omaggi, signore, e vi chiede se desiderate assistere alla partenza.»
«Certo!» disse Gibson. «Aspetta che vado a prendere la macchina fotografica.»
Riapparve un attimo dopo con una Leica nuova fiammante che suscitò l’invidia di Jimmy, equipaggiata com’era di lenti, obiettivi ed esposimetro. Nonostante tutti quegli ingombri, riuscirono ugualmente a raggiungere abbastanza in fretta il ponte d’osservazione che correva come una fascia circolare intorno alla fusoliera dell’
Per la prima volta Gibson poté vedere le stelle in tutto il loro splendore, non più appannate dall’atmosfera o dai vetri scuri, poiché si trovava sul lato
La stazione spaziale numero uno era un complicato giocattolo pulito e lucente che fluttuava nel nulla a pochi metri oltre il finestrino. Non c’era modo di giudicarne la distanza o le dimensioni, poiché la sua sagoma non aveva niente di familiare e il senso della prospettiva sembrava totalmente abolito. Terra e Sole erano entrambi invisibili, nascosti dietro la massa della nave.
Gibson trasalì al suono improvviso e vicinissimo di una voce disincarnata che uscì da un microfono nascosto.
«Mancano cento secondi al lancio. Tutti ai propri posti, per favore.»
Involontariamente Gibson s’irrigidì e si volse a Jimmy per averne un consiglio, ma prima che potesse formulare una domanda qualsiasi, la sua guida disse in fretta: «Devo tornare al mio posto» e scomparve con un elegante tuffo ad angelo, lasciando Gibson solo con i suoi pensieri.
«Venti secondi alla partenza. Occorreranno circa dieci secondi per acquistare la spinta necessaria…»
«Dieci secondi…»
«Cinque secondi, quattro, tre, due, uno…»
Con estrema dolcezza qualcosa afferrò Gibson e lo fece scivolare lungo il lato curvo della parete traforata del boccaporto verso quello che a un tratto era diventato il pavimento.
Fu difficile rendersi conto del ritorno all’alto e al basso e ancora più difficile collegare la loro ricomparsa con il tuono distante, soffocato, che aveva rotto improvvisamente il silenzio della nave, lontano, nella seconda sfera rappresentante l’altra metà dell’