Il messaggio era breve e conteneva una sola parola superflua, la penultima:
Gibson sospirò Aveva lasciato la Terra talmente in fretta che non aveva neppure avuto il tempo per consultarsi con la sua agente, Ruth Goldstein, eccettuata un’affrettata conversazione telefonica da un capo all’altro del globo. Però si era espresso chiaramente: per quindici giorni almeno voleva essere lasciato in pace.
Afferrò il taccuino a fogli staccabili e mentre Jimmy teneva ostentatamente gli occhi fissi altrove, scribacchiò in fretta:
Harry era la metà letteraria e antiaffarista della Goldstein e C., ed era felicemente sposato con Ruth da oltre vent’anni. Da circa quindici, Gibson non smetteva un istante di ricordare a entrambi che stavano affondando in un pantano dal quale era sempre più difficile uscire.
Jimmy Spencer scomparve con l’insolito messaggio, lasciando Gibson con i suoi pensieri. Certo si sarebbe messo presto al lavoro, ma intanto aveva seppellito la sua macchina da scrivere sotto il resto del bagaglio.
Le sue vacanze durarono una settimana intera, in capo alla quale la Terra era divenuta un semplice punto molto luminoso che ben presto si sarebbe perso nel bagliore del Sole. Gibson stentava a credere di aver conosciuto fino a poco tempo prima un’esistenza diversa da quella che conduceva attualmente nel piccolo chiuso mondo dell’
Aveva imparato a conoscerli bene tutti, anche se in Hilton e Bradley aveva incontrato una strana riservatezza che gli riusciva difficile penetrare. Ognuno di quegli uomini era un individuo ben definito la cui personalità contrastava nettamente con quella degli altri: forse le sole cose che tutti avevano in comune erano l’intelligenza e la preparazione. A volte si sentiva prendere da un vago senso di vergogna ripensando agli equipaggi che aveva inventato per le sue astronavi immaginarie. Gli tornava alla mente il Mastro Pilota Graham, di
Gibson era intento a una tranquilla partita a freccette con il dottor Scott quando Bradley entrò con un modulo del rapporto segnalazioni.
«Adesso non mettetevi subito in agitazione» disse con la sua voce raffinata «ma vi avverto che siamo seguiti.»
Lo guardarono tutti a bocca aperta. Mackay fu il primo a riprendersi.
«Ti prego di essere più esplicito» disse con il suo solito tono lievemente cattedratico.
«C’è un razzo catapultato, sigla Mark III, che ci sta venendo dietro a rotta di collo. È stato lanciato in questo momento dalla stazione esterna e ci dovrebbe raggiungere fra quattro giorni. Vogliono che lo si acchiappi al volo mentre passa, con il nostro controllo radio, ma con la deviazione che avrà subito a questa distanza ci stanno chiedendo un po’ troppo. Sarà tanto se arriverà ad accostarci entro un raggio inferiore ai centomila chilometri.»
«E dietro a chi sta correndo?»
«Credo che trasporti soccorsi sanitari urgenti. Guarda, dottore, dai un po’ un’occhiata qui.»
Il dottor Scott lesse attentamente il messaggio.
«Questo sì che è interessante. Pare che abbiano trovato un antidoto alla febbre marziana. Deve trattarsi di qualche siero: l’hanno scoperto all’Istituto Pasteur. Devono essere molto sicuri della sua efficacia, se si sono presi tutto questo disturbo per farcelo arrivare.»
«Insomma, in nome di Dio. si può sapere che cos’è un razzo sigla Mark III, per non parlare della febbre marziana?» esplose infine Gibson.