Ci sono poi queste tre cartelle qui, cartone spesso beige. Non sono accessibili al pubblico dal momento che contengono lettere di un tipo molto più personale. Sulla base dei termini del nostro accordo con la Fondazione David Selig, mi è proibito far citazioni: posso però parafrasarle. Si tratta di lettere da lui inviate o occasionalmente ricevute da ragazze che ha amato o che intendeva amare. La più antica è datata 1950 e, in alto, reca l’annotazione a grandi lettere rosse: MAI SPEDITA. Cara Beverly
, così comincia, ed è tutta piena di imbarazzanti grafismi sessuali. Selig, che cosa potete dirci di questa Beverly? Be’, era piccoletta e graziosa e lentigginosa, con due tette grosse così e una spiccata tendenza all’allegria; sedeva di fronte a me nell’aula di biologia; aveva una sorella gemella, precisa identica, roba da brividi, Estelle, che continuava a squadrarti torva, e per qualche strana combinazione genetica era piatta così come Beverly era ben fornita. Forse era questo il motivo per cui era torva. A Estelle io piacevo, nella sua fosca maniera, e penso che alla fine avrebbe anche potuto venire a letto con me, il che avrebbe fatto un sacco di bene al mio ego quindicenne, solo che io la disprezzavo. Mi sembrava un’imitazione malfatta, bitorzoluta di Beverly, che io amavo. Ero solito girare a piedi nudi nella mente di Beverly mentre l’insegnante, Miss Mueller, farfugliava di mitosi e cromosomi. Lei aveva appena concesso le sue grazie a Victor Schlitz, il ragazzone scarno dagli occhi verdi e i capelli rossi che le stava seduto accanto, e io imparavo un mucchio di cose sul sesso da lei a ogni scorribanda, con 12 ore di ritardo, per il fatto che irradiava ogni giorno la sua avventura della notte precedente con Victor. Non ero geloso di lui. Lui era bello e sicuro di sé e la meritava, e, in quel tempo, io ero troppo insicuro per andare a letto con chicchessia, comunque. Perciò percorsi con loro, da abusivo, la loro storia d’amore, e fantasticai di fare con Beverly le cose che le faceva Victor, finché disperato sentii il bisogno di entrarci anch’io in lei, ma le esplorazioni della sua mente mi dissero che per lei io non ero nient’altro che un bamboccio divertente, una stramberia, un buffone. Allora, come riuscirci? Le scrissi questa lettera descrivendo con dettagli vividi, penosi, tutto quello che lei e Victor avevano fatto, e dissi: non ti interessa sapere come faccio a sapere tutto questo, eh?, lasciando intendere che ero una specie di superuomo dotato del potere di penetrare l’intimità della mente di una donna. Mi immaginavo che questo me l’avrebbe buttata tra le braccia in un deliquio di timore reverenziale; invece qualche pensiero captato in seguito mi fece intuire che lei mi avrebbe, in ogni caso, ritenuto un demente o quanto meno un tipaccio indiscreto, e, comunque, si sarebbe allontanata definitivamente da me, per cui archiviai la lettera senza recapitarla. Una notte la trovò mia madre; lei, però, non osò parlarne con me, irrimediabilmente bloccata com’era su tutto il settore sesso; si limitò a rimetterla nella mia agenda. Rimase turbata? Sì, certo: ma si sentì molto orgogliosa che il suo ragazzo fosse finalmente un uomo, capace di descrivere delle porcherie a una bella ragazza. Mio figlio il pornografo.