La maggioranza delle lettere di quest’archivio datano tra il 1954 e il 1968. Le più recenti furono scritte nell’autunno del 1974, dopo di che Selig cominciò a sentirsi sempre meno, sempre meno a contatto con il resto dell’umanità e smise di scrivere lettere, se non nella sua testa. Non so quante ragazze siano qui rappresentate, però devono essere veramente poche. Di solito queste, per Selig, furono sempre relazioni assolutamente superficiali; come ben sapete, non si sposò mai e mai fu seriamente implicato in affari con donne. Come nel caso di Beverly, quelle che lui amò più profondamente furono le ragazze con cui di fatto non ebbe mai rapporti concreti: anzi pretendeva di provare amore per coloro che erano di fatto solo fortuite emettitrici. A volte egli si servì dei suoi poteri particolari per approfittare sessualmente di alcune donne, soprattutto attorno ai 25 anni. Non si sente orgoglioso di quel periodo. Non vi piacerebbe leggere queste lettere, fetenti voyeur? Ma no. No, non ci metterete sopra le zampe. Ad ogni modo, perché vi ho invitati qui? Perché ho permesso che sbirciaste i miei libri, le mie fotografie, i miei dischi tutti sudici, la mia vasca da bagno macchiata? Dev’essere la coscienza del mio io che se ne sta andando. L’isolamento mi sta asfissiando; le finestre sono chiuse, e ho finito per spalancare le porte. Ho bisogno di voi per sostenere il mio attaccamento alla realtà riesplorandone la mia vita, incorporandone una parte nella vostra esperienza personale, scoprendo che io sono reale, che io esisto, che io soffro, che ho un passato anche se non ho un futuro. Per questo potrete andarvene dicendo: sì, conosco David Selig, effettivamente lo conosco benissimo. Questo, comunque, non significa che io vi debba mostrare ogni cosa. Ecco, ecco qui una lettera a Amy! Amy che mi strappò dalla mia putrescente verginità nella primavera del 1953. Non vi piacerebbe sapere la storia di com’è successo? La prima volta, di chiunque si tratti, ha un suo fascino irresistibile! Bene, andate a farvi fottere: non ho proprio nessuna voglia di discuterne. Non c’è molto da raccontare, comunque. Glielo ficcai dentro e io venni e lei no, come la sedussi, inventatevi da soli i particolari. Dov’è adesso Amy? Amy è morta. Vi va? La sua prima fighetta, eppure lui le è già sopravvissuto. È morta in un incidente di macchina a 23 anni e suo maritò, che mi conosceva vagamente, mi telefonò per dirmelo, dal momento che una volta io ero stato un suo amico. Lui era ancora sotto shock perché la polizia l’aveva obbligato ad andare là per riconoscere il cadavere, e lei era proprio rimasta distrutta, maciullata, mutilata. Come qualcosa che viene da un altro pianeta, questo sembrava lei; così mi riferì. Catapultata fuori attraverso il parabrezza e sbattuta contro un albero. E io dissi a lui: — Amy è stata la prima ragazza con cui sono andato a letto — e lui si mise a consolarmi. Lui, che consolava me, quando io avevo cercato soltanto di essere sadico.
Il tempo passa. Amy è morta e Beverly è una donna di casa grassa e tozza di mezz’età, ci scommetto. Ecco qui una lettera indirizzata a Jackie Newhouse, in cui le dico che non ce la faccio a dormire perché continuo a pensare a lei. Jackie Newhouse? E questa chi è? Oh, sì. Un metro e 60 di ragazza, e un paio di tette che avrebbero fatto vergognare Marilyn Monroe. Succosa. Ottusa. Labbra contratte, occhi color verdemarino. Jackie in sé non era niente se si tolgono i suoi seni, però quelli erano più che sufficienti per me, diciassettenne e attaccato alle mammelle, Dio solo sa perché. L’amavo per le sue poppe, così sferiche e bene in vista in quell’attillata maglietta che le piaceva tanto indossare. Estate 1952. Era innamorata di Frank Sinatra e di Perry Como, e portava un "Frankie" scritto grosso con il rossetto sulla coscia sinistra in basso, sopra i jeans e un "Perry" sulla coscia destra. Era anche innamorata del suo insegnante di storia, che si chiamava, mi sembra, Leon Sissinger o Zippinger o qualcosa del genere, e sui jeans portava scritto un bel "Leon" tra chiappa e chiappa. La baciai due volte, però finì lì, senza neppure metterle la lingua in bocca; era più riservata di me, atterrita al solo pensiero che qualche spaventosa mano di maschio potesse violare la purezza di quelle tette poderose. Le ronzai attorno, senza tentare di penetrare nella sua testa perché mi aveva avvilito vedere quanto fosse vuota. Come andò a finire? Ah, ecco: il suo fratellino Arnie mi stava raccontando che lui la vedeva nuda in casa, continuamente; allora io, accanendomi alla ricerca di una visione mediata dei suoi seni nudi, mi precipito dentro il suo cranio e mi faccio una sbirciata di seconda mano. Fino a quel momento non mi ero mai reso conto di quanto fosse importante un reggiseno. Liberi, quelli penzolavano fin sulla sua pancia grassottella, due montagnole di carne tremante attraversate da sporgenti vene azzurrine. Mi guarì dalla mia fissazione. Dopo tanto tempo sei così irreale per me, adesso, Jackie.