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Come se stesse marciando verso il patibolo, le portò il foglio. Lei lo pose di fianco alla sua lista e cercò di riallinearlo, alla ricerca di qualche correzione, di qualche sequenza di sfasatura. Ma la pura casualità delle risposte deliberatamente errate lo protesse. Un’eventuale anticipazione di due carte gli dava due punti; un arretramento di una carta gli dava tre punti. Non c’era niente di significativo. Ciononostante la signorina Mueller non lo lasciò perdere. — Mi piacerebbe rifarti il test — disse. — Faremo diversi tipi di tentativi. Un punteggio nullo è affascinante. — Lei cominciò a mescolare il mazzo. Dio, Dio, Dio, dove sei finito? Ah! La campana! Salvato dalla campana! — Puoi restare dopo la lezione? — lei chiese. In agonia, lui scosse la testa. — Devo andare immediatamente al corso di geometria, signorina Mueller. — Lei mollò. Domani, allora. Li faremo domani i test. Dio! Lui passò tutta la notte agitato per la paura, sudando, tremando; verso le quattro del mattino vomitò. Sperava che sua madre l’avrebbe fatto restare a casa da scuola, ma niente! Che sfortuna! Alle sette e mezzo lui era sul bus. Che la signorina Mueller si fosse dimenticata dei test? La signorina Mueller non se ne era dimenticata. Le carte fatali erano sulla cattedra. Non ci sarebbe stata nessuna via d’uscita. Sentì che era al centro dell’attenzione di tutti. Benissimo, Duv, questa volta sii più furbo. — Sei pronto per cominciare? — chiese lei, sollevando la prima carta. Lui vide un più nella sua mente.

— Quadrato — disse.

Vide un cerchio. — Onde — disse.

Vide un altro cerchio. — Più — disse.

Vide una stella. — Cerchio — disse.

Vide un quadrato. — Quadrato — disse. "E una".

Fece molta attenzione a tener bene i conti. Quattro risposte sbagliate, poi una giusta. Tre risposte sbagliate, un’altra risposta giusta. Distribuendole un po’ a casaccio, tutto falso, si concesse cinque centri nel primo giro. Nel secondo ne fece quattro. Nel terzo sei. Nel quarto, quattro. Sto tenendo una media troppo alta, si chiese? Adesso dovrei darle un giro con un sol colpo giusto? Ma lei stava perdendo interesse. — Ancora non riesco a capire il tuo risultato nullo, David — gli disse. — Comunque io lo leggo così: tu non hai proprio nessuna capacità ESP. — Lui finse di apparire contrariato. Addirittura chiese scusa. Mi spiace prof, non posseggo ESP. Umilmente il ragazzo deficiente ripercorse la strada per tornare al suo banco.

In uno sprazzo di rivelazione e di comunione, signorina Mueller, io avrei potuto giustificare tutta la tua ricerca, durata una vita intera, dell’improbabile, l’inesplicabile, l’ignoto, l’irrazionale. Il miracolistico. Però io non ce l’avevo il coraggio per farlo. Dovevo pensare alla mia pelle, signorina Mueller. Dovevo restare un tipo irrilevante. Mi perdonerai? Invece di dire la verità, io ti ho imbrogliata, signorina Mueller, ti ho mandata a gironzolare ciecamente sui tarocchi, sui segni dello zodiaco, sui dischi volanti, su migliaia di vibrazioni surreali, su milioni di antimondi siderali apocalittici, quando il solo tocco della mia mente contro la tua sarebbe stato più che sufficiente per curare la tua pazzia. Un mio tocco. Di un attimo. Di un batter d’occhio.

21

Questi sono i giorni della passione di David, quando lui si contorce sul suo letto di spine. Procediamo a piccoli tratti. Così fa meno male.


Martedì. Il giorno delle elezioni. Per mesi il clamore della campagna elettorale ha intorbidato l’aria. Il mondo libero sta per scegliersi il suo nuovo massimo leader. I camion propagandistici rumoreggiano per tutta Broadway, eruttando slogan. Il nostro prossimo Presidente! L’uomo per tutta l’America! Vota! Vota! Vota! Vota per X! Vota per Y! Le parole vuote si mescolano, si fanno confuse, si disperdono. Repubblican-Democratico. Democrat-Repubblicano. Bum. Perché dovrei votare? Io non voterò. Io non voto. Io non sono inserito. Non appartengo al giro. Votare è una cosa che riguarda loro. Un tempo, nel tardo autunno del 1968, credo, mi trovavo fuori da Carnegie Hall, pensando di entrare in una libreria sull’altro lato della strada, quando improvvisamente sulla 57a Strada tutto il traffico si bloccò e una gran quantità di poliziotti schizzarono fuori dal pavimento come i guerrieri dai denti di drago seminati da Cadmo, e una sfilata di macchine avanzò rombante da est, e, guarda! in una limousine proprio nera arrivò Richard M. Nixon, neopresidente degli Stati Uniti d’America, che giovialmente salutava, agitando le braccia, la popolazione lì ammucchiata. Finalmente la mia grande occasione, pensai. Guarderò dentro la sua mente e scoprirò i grandi segreti di stato; scoprirò che cosa c’è in questi nostri leader che li separa dai comuni mortali. Fu così che lessi nella sua mente, e quello che vi trovai non ve lo dirò, salvo una cosa: era più o meno quello che avrei dovuto aspettarmi di trovare. E da quel giorno ho chiuso con la politica o i politici. Oggi non vado alle urne. Che eleggano il prossimo presidente senza il mio aiuto.


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