Escono dall’ospedale insieme, su per Amsterdam Avenue fino al cancello del campus sulla 115a
Strada, e dentro Van Am Quad. Il poliziotto gli resta attaccato alle costole, senza dire niente. Poco dopo Selig si ritrova in attesa fuori dell’ufficio del Preside del Columbia College. Il poliziotto aspetta con lui, le braccia placidamente incrociate, come avvolto in un bozzolo di noia. Selig comincia a sentirsi quasi in arresto. E perché? Un’idea balorda. Che cos’ha lui da temere dal preside? Sonda la stupida mente del poliziotto ma non riesce a scovarci nient’altro che banchi di nebbia ondeggianti, a ciuffi. Vorrebbe sapere chi è adesso il preside. Ricorda molto bene i presidi della sua epoca: Lawrence Chamberlain, cravattino a farfalla e sorriso caloroso, era preside del College, e Dean McKnight, Nicholas McD. McKnight, un entusiasta dell’associazione studentesca (Sigma Chi?), con un modo di fare impettito, chiaramente ottocentesco, era preside degli studenti. Ma tutto questo era vent’anni fa. Chamberlain e McKnight debbono aver avuto parecchi successori da allora, anche se lui non ne sa niente; non è mai stato uno che legge il notiziario del College.Dall’interno, una voce dice: — Il preside Cushing vi riceverà subito.
— Entrate — dice il poliziotto.
Cushing? Un bel nome per un preside. Chi è? Selig avanza con fatica, zoppicando, reso goffo dalle botte, infastidito dal ginocchio dolorante. Di fronte a lui, dietro una cattedra luccicante, ordinatissima, sta seduto un uomo dalle spalle larghe, l’espressione melliflua, l’aspetto giovanile, il tipico giovane
— Siediti, Dave — dice Cushing, educatamente ma senza eccessiva cordialità. — Sei stato conciato male?
— L’ospedale dice che non c’è niente di rotto. Mi sento a pezzi, però. — Si accomoda sulla poltrona e mostra le macchie di sangue sui suoi abiti, le contusioni sul volto. Parlare gli costa fatica; la mandibola cigola sui cardini. — Ehi, Ted, quanto tempo è passato! Devono essere vent’anni dall’ultima volta che ti ho visto. Ricordavi il mio nome, o mi hanno identificato dal portafoglio?
— Abbiamo deciso di pagare il conto dell’ospedale — dice Cushing, fingendo di non aver sentito le parole di Selig. — Se ci sono altre spese mediche, provvederemo anche a quelle. Puoi averlo per iscritto se ti fa piacere.
— Va benissimo l’impegno a parole. E se temi che io voglia creare guai o citare l’università, bene, sta’ tranquillo, non farò niente di tutto questo. I ragazzi sono ragazzi, si lasciano trascinare un po’ troppo, però…
— Non siamo preoccupati per le noie che potresti creare, Dave — dice Cushing tranquillamente. — Il problema è che possiamo crarle
— A me? Per che cosa? Per essere stato pestato ben bene dai tuoi giocatori di pallacanestro? Per aver danneggiato le loro costosissime mani con la mia faccia? — Lui tenta un sorriso che lo fa soffrire. Il volto di Cushing resta serio. C’è un attimo di silenzio. Selig si arrabatta per interpretare il tiro mancino di Cushing. Non riuscendo a trovare niente di ragionevole, decide di avventurarsi in un sondaggio. Però sbatte contro un muro. Di colpo diventa troppo timido per spingere, timoroso di scoprirsi incapace di penetrare. — Non riesco a capire che cosa intendi dire — dice alla fine. — Farmela pagare per che cosa?
— Per questi, Dave. — Per la prima volta Selig nota un mucchio di dattiloscritti sulla cattedra del preside. Cushing li spinge verso di lui. — Li riconosci? Ecco: dacci un’occhiata.