Читаем Morire dentro полностью

Cushing continua a divagare, enunciando e rienunciando i suoi motivi e abbellendoli, offrendo pietà senza biasimo, promettendo aiuto al suo povero sofferente compagno di classe. Selig, ascoltandolo senza prestargli attenzione, scopre che la mente di Cushing comincia ad aprirglisi. Quel muro che poco fa separava le loro coscienze, forse un sottoprodotto della paura e dell’affaticamento di Selig, ha cominciato a dissolversi, e adesso Selig è capace di percepire un’immagine generalizzata della mente di Cushing, che è energica, robusta, capace, però anche convenzionale e limitata, una stupida mente repubblicana, un prosaico cervello Ivy League. Anzitutto non contiene un vero interesse per Selig ma piuttosto compiacente soddisfazione per se stesso: il bagliore più intenso emana dalla consapevolezza di Cushing per la sua fortunata condizione di vita, ben definita da una villetta suburbana, una gagliarda bionda moglie, tre bei bambini, un cane peloso, una splendente nuova Lincoln Continental. Spingendosi un pochino più in profondità, Selig vede che tutta la messinscena di interesse per lui da parte di Cushing è un imbroglio. Dietro quegli occhi calorosi e quel sorriso sincero, accorato, simpatico, c’è un disprezzo feroce. Cushing lo disprezza. Cushing ritiene che lui sia corrotto, inutile, senza valore, una disgrazia per l’umanità in generale e per la classe ’56 del Columbia College in particolare. Cushing lo trova ripugnante sia fisicamente sia moralmente, lo vede come uno che non si lava mai, sporco fuori e dentro, forse anche sifilitico. Sospetta che sia omosessuale. Prova per lui il disprezzo che l’affiliato al Rotary sente per un tossicomane. Riesce impossibile a Cushing capire come uno che ha avuto la fortuna di essere educato al Columbia possa lasciarsi scivolare nella degradazione che invece Selig ha addirittura accettato. Selig si sottrae al disgusto di Cushing. Sono proprio così nauseante, si chiede, sono un tale rifiuto?

La sua presa sulla mente di Cushing si irrobustisce e si approfondisce. Finisce per non turbarlo più il fatto che Cushing lo disprezza tanto, Selig si sposta in una forma astratta nella quale non identifica più se stesso col miserabile pidocchio visto da Cushing. Che cosa ne sa, Cushing? Riesce forse a penetrare nella mente di un altro? Riesce a provare l’estasi del contatto reale con un altro essere umano? Eppure lì c’è estasi. Simile a un dio lui se ne va passeggiando nella mente di Cushing, affondando al di là delle difese esterne, al di là dei graziosi motivi di orgoglio e degli snobismi, al di là della mediocrità compiaciuta di sé autogratificantesi, nella zona dei valori assoluti, nel regno dell’autentico io. Contatto! Estasi! Quello stronzo di Cushing è soltanto guscio, niente polpa. Qui c’è un Cushing che neppure Cushing conosce: lo conosce Selig.

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