Sono tentata di farlo. Non è
Foresta non dovrebbe essere un granché per un turista, niente divertimenti, ma voglio studiarmelo a fondo. È la colonia più recente, è ovvio, ancora a livello delle case di legno e totalmente dipendente dalla Terra e/o dal Regno per arnesi e strumenti.
Ma non è proprio quello il periodo più adatto per unirsi a una colonia, se si vuole provare la gioia selvaggia a ogni minuto?
Jerry ha un’aria cupa. Mi dice di andare a vedere… e di scoprire da sola che la vita nella foresta primordiale è notevolmente sopravvalutata.
Non so. Forse potrei trattare, chiedere il privilegio di una sosta; reimbarcarmi su questa nave o su una delle sue sorelle fra qualche mese. Devo chiedere al capitano.
Ieri al cinema Stardust c’era un olo che volevo vedere, una commedia musicale,
Quest’uomo (il «numero tre» nella mia mente, anche se la lista dei passeggeri dice che è HOWARD J. BULLFINCH, SAN DIEGO) mi seguì e sedette direttamente dietro di me… Insolito, perché in genere se ne stanno il più lontano possibile, a seconda delle dimensioni del locale. Forse pensava di potermi perdere quando le luci si fossero abbassate; non so. La sua presenza lì dietro mi distrasse. Quando la regina azzannò lo yankee e lo trascinò nel suo
Finito l’olo, riaccese le luci, raggiunsi il corridoio laterale in contemporanea con l’uomo; lui mi cedette il passo. Sorrisi e ringraziai, poi uscii dalla porta centrale; lui mi seguì. L’uscita porta a una scaletta, quattro gradini in tutto. Inciampai, caddi indietro, e lui mi afferrò.
— Grazie! — dissi. — Adesso ti porto al bar Centauro e ti offro un drink.
— Oh, ma niente affatto!
— Oh, e invece sì. Così mi spiegherai perché mi segui e chi ti paga e diverse altre cose.
Lui esitò. — Vi sbagliate.
— Non io, Mac. Mi segui tranquillamente, o preferisci spiegarti col capitano?
Quello uscì in un sorriso perplesso (o era cinico?). — Le vostre parole sono molto convincenti, anche se vi sbagliate. Però insisto, pagherò io da bere.
— Va bene. Me lo devi. E mi devi anche qualche altra cosina.
Scelsi un tavolo all’angolo, dove gli altri clienti non potevano sentirci; il che mi diede la certezza che un Orecchio
Ci servirono, poi io gli dissi, quasi in silenzio totale: — Sai leggere sulle labbra?
— Non molto bene — ammise lui, allo stesso livello bassissimo.
— Benissimo, vediamo di non alzare il volume e speriamo che il caos sonoro confonda l’Orecchio. Mac, dimmi una cosa. Di recente hai stuprato altre ragazze indifese?
Lui sobbalzò. Credo che nessuno possa ricevere un colpo del genere senza sobbalzare. Però lui mi fece la cortesia di rispettare il mio cervello, e dimostrò a sua volta di avere cervello, rispondendo: — Signorina Friday, come avete fatto a riconoscermi?
— Dall’odore — ribattei. — Per prima cosa dall’odore. Ti sei seduto troppo vicino. Poi, uscendo dal cinema, ti ho costretto a un test vocale. E ho inciampato sulle scale e ti ho costretto ad abbracciarmi. A quel punto ho avuto la certezza. Qui c’è un Orecchio che ci spia?
— Probabile. Però forse non registra, ed è possibile che al momento nessuno lo stia seguendo.
— Troppo rischioso. — Riflettei. Camminare fianco a fianco sulla passeggiata? Lì un Orecchio avrebbe avuto guai senza una sintonizzazione continua, ma la sintonia poteva essere automatica se Mac aveva addosso un raggio. O forse lo avevo addosso io. La piscina Aquarius? L’acustica di una piscina è sempre pessima, il che mi stava bene. Però, accidenti, mi occorreva più privacy. — Pianta qui il drink e vieni con me.
Lo portai alla cabina Bb. Shizuko ci fece entrare. Per quanto ne sapevo, lei faceva la guardia ventiquattro ore su ventiquattro; si limitava a dormire contemporaneamente a me. O credevo che dormisse. Le chiesi: — Cosa ci aspetta, Shizuko?
— Il party del commissario di bordo, signorina. Alle diciannove.
— Vedo. Vai a fare due passi o quello che vuoi. Torna fra un’ora.
— Troppo tardi. Trenta minuti.
— Un’ora!