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La sua testa ciondolò da una parte. Eragon trattenne il fiato, come se avesse ricevuto un pugno allo stomaco. Era la donna dei suoi sogni. Il suo volto affilato era perfetto come un dipinto. Il mento rotondo, gli zigomi alti e le lunghe ciglia le davano un'aria esotica. L'unica pecca nella sua bellezza era un graffio lungo la guancia; malgrado questo, era la donna più bella che avesse mai visto. Il sangue di Eragon ribollì nel guardarla. Qualcosa si agitò in lui, qualcosa che non aveva mai sentito prima. Era come un'ossessione, solo più forte: una follia febbrile. Poi i capelli della donna si scostarono dal viso, rivelando le orecchie appuntite. Un brivido gli corse lungo la schiena. Era un'elfa.


I soldati continuarono a marciare, sottraendola al suo sguardo. Dietro di lei veniva un uomo alto e fiero, con un mantello di zibellino che si agitava alle sue spalle. Il suo volto era di un pallore mortale; i capelli erano rossi. Rossi come il sangue.


Quando passò davanti alla cella di Eragon, l'uomo voltò la testa e lo fissò con occhi che parevano braci ardenti. Il labbro di sopra si arricciò in un ghigno crudele, svelando denti appuntiti. Eragon indietreggiò. Sapeva che cos'era quell'uomo. Uno Spettro... Il cielo mi assista, uno Spettro. Il corteo proseguì, e lo Spettro scomparve.


Eragon si accasciò sul pavimento, stringendosi le gambe al petto. Perfino confuso com'era, sapeva che la presenza di uno Spettro voleva dire che il Male imperversaya nel territorio di Alagasëia. Ogni volta che comparivano, li seguiva una scia di sangue. Che cosa ci fa qui uno Spettro? I soldati avrebbero dovuto ucciderlo all'istante! Poi i suoi pensieri tornarono alla fanciulla elfica, e di nuovo fu colto da una strana emozione.


Devo fuggire. Ma con la mente annebbiata, la sua determinazione svanì presto. Si distese di nuovo sul tavolaccio. Quando il corridoio tornò silenzioso. Eragon era già addormentato.

Non appena aprì gli occhi, capì che c'era qualcosa di diverso. Gli era più facile pensare; si rese conto di essere a Gil'ead. Hanno commesso un errore; l'effetto della droga si dissolvel Speranzoso, provò a chiamare Saphira e a usare la magia, ma entrambe le cose si rivelarono ancora fuori dalla sua portata. Si sentì stringere il cuore nel chiedersi se lei e Murtagh ce l'avevano fatta. Si stiracchiò e guardò fuori dalla finestrella. La città si stava appena risvegliando; la strada era deserta, fatta eccezione per due mendicanti.


Tese una mano verso la brocca dell'acqua, meditando sull'elfa e sullo Spettro. Stava per bere quando si accorse che l'acqua aveva uno strano odore, come se contenesse qualche goccia di un acre profumo. Con una smorfia, posò di nuovo la brocca a terra. La droga dev'essere nell'acqua, e anche nel cibo! Ricordò che quando i Ra'zac lo avevano drogato, gli ci erano volute ore per riprendersi. Se riesco a non bere e a non mangiare abbastanza a lungo, dovrei essere in grado di usare la magia. Allora potrò liberare l'elfa. Il pensiero lo fece sorridere. Si sedette in un angolo a sognare come poteva fare.


Il corpulento carceriere entrò nella cella un'ora dopo, con un vassoio di cibo. Eragon aspettò che se andasse, poi portò il vassoio alla finestra. Il pasto era composto soltanto da pane, formaggio e cipolla, ma l'odore gli fece brontolare lo stomaco dalla fame. Rassegnandosi a ima giornata di digiuno, gettò il cibo fuori dalla finestra, sulla strada, sperando che nessuno lo notasse. Eragon cercò così di annullare gli effetti della droga. Aveva difficoltà a concentrarsi per più di qualche secondo, ma col progredire della giornata, la sua acutezza mentale aumentò. Cominciò a ricordare molte parole antiche, anche se non succedeva niente quando le pronunciava. Avrebbe voluto gridare per la delusione.


Quando gli fu portato il pranzo, lo gettò fuori dalla finestra come aveva fatto con la colazione. La fame era forte, ma era la mancanza di acqua a pesargli di più. Si sentiva la gola secca. Pensieri di acqua fresca e dolce lo torturavano, e ogni respiro gli prosciugava le mucose. Malgrado tutto, si costrinse a ignorare la brocca.


Un trambusto nel corridoio lo distolse dal suo disagio. Un uomo discuteva ad alta voce: «Non potete entrare! Gli ordini sono chiari: nessuno può vederlo!»


«Sul serio? E sarai tu a fermarmi, capitano?» intervenne una voce melliflua.


«No... ma il re...» fu l'esitante risposta.


«Mi occuperò io del re» lo interruppe l'altro. «E adesso apri la porta.»


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