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Dopo un breve silenzio, Eragon sentì scattare la serratura della sua cella. Cercò di assumere un'espressione assente. Devo comportarmi come se non capissi che cosa succede. Non posso mostrare sorpresa, qualunque cosa mi dica costui.


La porta si aprì. Gli mancò il fiato quando si ritrovò faccia a faccia con lo Spettro. Era come guardare una maschera di morte o un teschio levigato, ricoperto di pelle sottile per dargli una parvenza di vita. «Salute a te» disse lo Spettro con un sorriso gelido, mostrando i denti aguzzi. «È molto tempo che aspetto di incontrarti.»


«Chi…chi sei?» chiese Eragon, fingendo di incespicare nelle parole.


«Nessuno d'importante» rispose lo Spettro, gli occhi rossicci illuminati da una minaccia controllata. Si sedette facendo svolazzare il mantello. «I1 mio nome non conta nulla per uno nella tua posizione. E comunque non vorrebbe dire niente per te. È il tuo che m'interessa. Chi sei?»


La domanda era stata posta con una certa innocenza, ma Eragon capì che celava una trappola, anche se non sapeva di che tipo. Finse di arrovellarsi sulla domanda per qualche minuto, poi lentamente disse: «Non ne sono sicuro… Mi chiamo Eragon, ma questo non è ciò che sono, giusto?» Le labbra sottili dello Spettro si tesero in un sorriso maligno. «Giusto, non lo è. Hai una mente interessante, mio giovane Cavaliere.» Si protese verso di lui. La pelle della sua fronte era sottile, translucida. «A quanto pare devo essere più diretto. Come ti chiami?»


««Era…»


«No! Non questo.» Lo Spettro lo interruppe con un gesto della mano. «Non ne hai un altro, uno che usi di rado?»


Vuole il mio vero nome per potermi controllare! si rese conto Eragon. Ma non posso dirglielo, Non lo so nemmeno io. Pensò


in fretta, in cerca di un inganno che potesse coprire la sua ignoranza. E se lo inventassi? Esitò, temendo di tradirsi, poi si affrettò a creare un nome che avrebbe superato la prova. Stava per pronunciarlo, quando decise di rischiare e di tentare di spaventare lo Spettro. Spostò qualche lettera, annuì con fare sciocco e disse: «Brom me lo ha detto, una volta, Era...» La pausa durò qualche secondo, poi il suo volto s'illuminò quando finse di ricordare. «Era Du Sùndavar Freohr.» Che significava quasi letteralmente "Morte delle Ombre".


Un cupo gelo calò sulla cella mentre lo Spettro restava seduto immobile, gli occhi velati. Sembrava immerso nei suoi pensieri, a riflettere su ciò che aveva appena appreso, Eragon si chiese se aveva osato troppo. Attese che lo Spettro lo guardasse di nuovo prima di chiedere con aria ingenua: «Perché sei qui?»


Lo Spettro lo guardò con sussiego e sorrise. «Per esultare, è ovvio. A che cosa serve la vittoria se uno non può rallegrarsene?» Ostentava sicurezza, ma sembrava turbato, come se i suoi piani fossero stati sconvolti. Si alzò all'improvviso. «Devo occuparmi di certe questioni, ma mentre sono via farai meglio a riflettere su chi hai intenzione di servire: un Cavaliere che ha tradito il tuo stesso ordine, o un mio simile, esperto in arti oscure. Quando arriverà il momento di scegliere, non ci saranno vie di mezzo.» Si voltò per andarsene, poi gettò un'occhiata alla brocca d'acqua e il suo volto s'indurì come granito. «Capitano!» urlò.


Un uomo dalle spalle larghe accorse nella cella, la spada in pugno. «Che cosa succede, signore?» domandò allarmato.


«Metti via quel giocattolo, capitano» gli intimò lo Spettro. Annuì verso Eragon e disse, con voce mortalmente calma: «Il ragazzo non ha bevuto l'acqua. Perché?»


«Ho parlato con il sorvegliante prima. Ogni piatto è stato ripulito fino in fondo.»


«Molto bene» disse lo Spettro, tranquillizzato. «Ma assicurati che ricominci a bere.» Si protese verso il capitano e gli mormorò qualcosa nell'orecchio. Eragon colse le ultime parole. «... una dose in più, per non sbagliare.» Il capitano annuì. Lo Spettro riportò la sua attenzione su Eragon. «Parleremo di nuovo domani quando non avrò così fretta. Sai, coltivo un interesse particolare per i nomi. Mi farà un enorme piacere discutere del tuo in maggiori dettagli.»


Il modo in cui lo disse suscitò in Eragon una sensazione di scoraggiamento.


Una volta che se ne furono andati, si distese sul tavolaccio e chiuse gli occhi. Le lezioni di Brom si stavano rivelando molto, utili in quel frangente; si affidò a loro per allontanare il panico e tranquillizzarsi. Mi è stato insegnato; devo solo metterlo a frutto. I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore di passi in avvicinamento.


Teso, andò alla porta e vide due soldati trascinare l'elfa lungo il corridoio. Quando non riuscì più a vederla, Eragon si accovacciò a terra e tentò di usare di nuovo la magia. Imprecò quando non ci riuscì.


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