Il soldato sgranò gli occhi, ma rimase in silenzio. Eragon grattò una manciata di terra dal pavimento e osservò in tono piatto: «È un po' più di un granello di sabbia, ma consolati: brucerà più in fretta. Certo, lascerà un bel buco.» A queste parole, il terriccio cominciò a rosseggiare incandescente, senza però scottargli la mano.
«D'accordo, ma non mettermelo nello stomaco!» strillò il soldato. «L'elfa è rinchiusa nell'ultima cella a sinistra! Non so niente della tua spada, ma probabilmente si trova nell'armeria di sopra. È lì che tengono tutte le armi.»
Eragon annuì, poi mormorò: «Slytha.» Il soldato rovesciò gli occhi all'indietro e cadde come un sacco vuoto.
«L'hai ucciso?»
Eragon guardò lo straniero che era a pochi passi da lui.
Strinse gli occhi nel tentativo di vedere oltre la. Barba. «Murtagh! Sei tu?» esclamò. «Sì» rispose Murtagh, scostando per un istante la barba finta dal volto rasato. « non voglio che mi vedano in volto. L'hai ucciso?»
«No, sta dormendo, Come sei riuscito a entrare?»
«Non c'è tempo per le spiegazioni, Dobbiamo salire prima che qualcuno ci scopra, Fra pochi minuti ci verrà offerta una via di fuga che sarà meglio non mancare.»
«Non hai sentito quello che ho detto?» chiese Eragon, indicando il soldato svenuto. «C'è un'elfa prigioniera in una delle celle, L'ho vista! Dobbiamo salvarla. Mi serve il tuo aiuto.» «Un'elfa...!» Murtagh si affrettò lungo il corridoio, borbottando: «È un errore. Dovremmo fuggire finché siamo in tempo.» Si fermò davanti alla cella che il soldato aveva indicato ed estrasse un anello di chiavi da sotto il mantello lacero. «L'ho preso a una delle guardie» disse. Eragon gli fece cenno di passargli le chiavi. Murtagh si strinse nelle spalle e gliele diede. Eragon trovò quella giusta e aprì la porta. Un solitario raggio di luna entrava dalla finestra, illuminando il volto d'argento freddo dell'elfa.
Lei lo guardò, tesa come una molla pronta a scattare. Teneva la testa alta, con il portamento di una regina. I suoi occhi verde scuro, quasi neri, un po' obliqui come quelli di un gatto, si posarono su Eragon. Lui si sentì percorrere da un brivido.
I loro sguardi si saldarono per un momento, poi l'elfa vacillò e cadde senza un suono. Eragon fece. appena in tempo a sostenerla prima che toccasse terra, Era sorprendentemente leggera. La circondava un aroma di aghi di pino appena spiccati.
Murtagh entrò nella cella. «È bellissima!»
«Ma ferita.»
«Ci occuperemo di lei più tardi. Ti senti abbastanza forte da portarla?» Eragon scosse il capo. «Allora lo farò io» disse Murtagh, issandosi l'elfa su una spalla. «E adesso, di sopra!» Porse a Eragon un pugnale, poi corsero indietro lungo il corridoio disseminato di cadaveri. Correndo con il prezioso fardello, Murtagh condusse Eragon a una scala di pietre sgrossate in fondo al corridoio. Mentre salivano, Eragon disse: «Come facciamo a uscire senza essere notati?» «Non verremo notati» grugnì Murtagh.
Questo non alleviò affatto i timori di Eragon. Drizzò le orecchie, preoccupato di sentire soldati in avvicinamento, temendo quel che sarebbe potuto succedere se avessero incontrato lo Spettro. In cima alle scale c'era un ampio refettorio gremito di tavoli di legno. Le pareti erano tappezzate di scudi, e il soffitto di legno era un reticolo di travi curve, Murtagh depose l'elfa su un tavolo e guardò il soffitto con aria preoccupata. «Puoi parlare con Saphira da parte mia?» .
«Sì.»
«Dille di aspettare altri cinque minuti.»
Si udirono delle grida in lontananza. Un drappello di soldati passò marciando davanti alla soglia del refettorio. Eragon strinse le labbra per la tensione. «Qualunque cosa tu abbia in mente di fare, ho paura che non ci resti molto tempo.»
«Tu diglielo, e non farti vedere» tagliò corto Murtagh, allontanandosi in fretta.
Mentre Eragon trasmetteva il messaggio, si allarmò sentendo salire le scale. Lottando contro la fame e la stanchezza, trascinò l'elfa giù dal tavolo e si nascose lì sotto con lei. Trattenne il fiato, stringendo con forza il pugnale.
Nella sala entrarono dieci soldati. L'attraversarono di corsa, controllando soltanto sotto un paio di tavoli, e continuarono per la loro strada. Eragon si appoggiò alla zampa del tavolo, sospirando di sollievo. La tregua lo rese all'improvviso consapevole della fame e della gola riarsa. Un boccale e un piatto di cibo lasciato a metà dall'altra parte della sala attirarono la sua attenzione. Eragon schizzò come un fulmine dal suo nascondiglio, afferrò il cibo e tornò sotto il tavolo. Nel boccale c'era della birra ambrata che bevve in due rapidi sorsi. Si sentì pervadere dal sollievo mentre il liquido fresco gli scorreva lungo la gola, alleviando l'arsura. Trattenne un rutto prima di avventarsi con ingordigia sul pane.
Murtagh tornò con Zar'roc, uno strano arco e un'elegante spada senza fodero, Murtagh porse Zar'roc a Eragon. «Ho trovato l'altra spada e l'arco nell'armeria. Non ho mai visto armi come queste prima d'ora, perciò ho pensato che appartenessero all'elfa.»