Lontano abbastanza. Eragon abbracciò forte l'elfa.mentre sorvolavano Gil'ead, poi si lasciarono la città alle spalle e virarono a est, puntando verso il cielo notturno.
UN GUERRIERO E UN GUARITORE
S
aphira si abbassò per atterrare in una radura sulla cima di una collina, e distese le ali sul terreno, Eragon la sentì tremare sotto di sé. Non avevano percorso più di mezza lega da Gil'ead.
Legati con le cavezze a due tronchi d'albero c'erano Fiammabianca e Tornac, che sbuffarono nervosi all'arrivo di Saphira, Eragon si lasciò scivolare a terra per occuparsi subito delle ferite di Saphira, mentre Murtagh preparava i cavalli,
Non potendo vedere bene al buio, Eragon fece scorrere le mani sulle ali della dragonessa. Trovò tre punti in cui le frecce avevano trapassato la sottile membrana, lasciando fori sanguinanti larghi quanto il suo pollice. Mancava anche un pezzetto di pelle dal bordo dell'ala sinistra. La dragonessa rabbrividì al contatto. Eragon curò le ferite con le parole dell'antica lingua. Poi si occupò della freccia ancora incastrata in uno dei possenti muscoli dell'ala. La punta della freccia sbucava dalla parte sottostante, da dove gocciolava sangue caldo.
Eragon chiamò Murtagh e gli diede alcune istruzioni. «Tienile ferma l'ala. Devo togliere questa freccia.» Gli mostrò dove mettere le mani.
Saphira,
La dragonessa tese il collo e afferrò con le zanne poderose un giovane alberello. Con uno strattone lo sradicò dal terreno e lo strinse forte tra le fauci.
Con un ringhio, Saphira scosse l'albero, spruzzando terriccio dappertutto prima di scagliarlo lontano. Dopo aver fatto rimarginare la ferita con altre parole magiche, Eragon aiutò Murtagh ad alzarsi. «Mi ha colto alla sprovvista» ammise Murtagh, massaggiandosi la mascella già livida.
«Non voleva farti del male» lo rassicurò Eragon, poi guardò l'elfa ancora priva di sensi. Dovrai portarla ancora per un po', disse a Saphira. Non possiamo trasportarla a cavallo perché ci rallenterebbe. Volare dovrebbe riuscirti più facile, ora che non hai più la freccia.
Saphira chinò la testa.
Gli occhi della dragonessa si addolcirono.
Mentre cavalcavano, Eragon cercò di ricordare quello sapeva sugli elfi. Vivevano a lungo, era un fatto noto, ma non sapeva quanto. Parlavano l'antica lingua, e molti sapevano usare la magia. Dopo la caduta dei Cavalieri, gli elfi si erano ritirati in isolamento. Da allora, nessuno li aveva più visti nei territori dell'Impero.
Viaggiarono tutta la notte, senza fermarsi nemmeno quando la stanchezza cominciò a rallentarli. Continuarono malgrado gli occhi che bruciavano e i movimenti rigidi. Dietro di loro, schiere di uomini a cavallo con le fiaccole in mano battevano i dintorni di Gil'ead in cerca dei fuggitivi. Dopo molte ore di viaggio nell'oscurità, l'alba cominciò a rischiarare il cielo. In tacito accordo, Eragon e Murtagh fermarono i cavalli. «Dobbiamo accamparci» disse Eragon, sfinito. «Devo dormire... che ci prendano o no.»
«Sono .d'accordo» disse Murtagh, strofinandosi gli occhi. «Di' a Saphira di atterrare e le andremo incontro.»