Mentre riprendeva fiato, Murtagh esclamò: «Mi sorprendi! Ho studiato scherma tutta la vita, ma non ho mai incontrato nessuno come te. Se volessi, potresti diventare maestro di scherma del re.» «Anche tu non te la cavi male» osservò Eragon, ancora col fiato grosso. «L'uomo che ti ha insegnato. Tornac, potrebbe fare una fortuna se aprisse una scuola di scherma. Verrebbe gente da ogni parte di Alagasëia per imparare da lui.»
«È morto» disse Murtagh asciutto.
«Mi dispiace.»
E così allenarsi tutte le sere divenne un'abitudine per loro, una consuetudine che li aiutava a tenersi in forma come un paio di lame gemelle. Con il recupero della salute, Eragon riprese anche a esercitarci con la magia, Murtagh lo osservava incuriosito e ben presto rivelò una sorprendente conoscenza di come funzionava, anche se gli mancavano i dettagli precisi e non sapeva usarla. Ogni volta che Eragon si esercitava a parlare l'antica lingua, lui ascoltava in silenzio, chiedendo di tanto in tanto il significato di qualche parola.
Alla periferia di Gil'ead fermarono i cavalli fianco a fianco. Avevano impiegato quasi un mese per raggiungerla, durante il quale la primavera aveva cancellato le ultime tracce dell'inverno. Eragon si era sentito cambiare durante il viaggio: era diventato più forte e calmo. Pensava ancora a Brom e ne parlava con Saphira, ma la maggior parte del tempo cercava di non risvegliare dolorosi ricordi. Da lontano videro che la città era un luogo aspro e barbaro, tutto case di legno e cani feroci. Al centro sorgeva una fortezza di pietra costruita in modo approssimativo. L'aria era offuscata da volute di fumo azzurrognolo. Il luogo sembrava più una stazione di posta che una vera città. Cinque miglia dietro di essa si intravvedeva la nebbiosa sagoma del Lago Isenstar.
Decisero di accamparsi a due miglia dalla città, per sicurezza. Mentre la cena cuoceva lentamente sul fuoco, Murtagh disse: «Non ritengo opportuno che vada tu a Gil'ead.»
«Perché no? So travestirmi bene» disse Eragon. «e credo che quel Dormand voglia vedere. il gedwey ignasia per assicurarsi che io sia un vero Cavaliere.»
«Può darsi» disse Murtagh. «ma l'Impero vuole te molto più di quanto non voglia me. Se mi catturano, posso sempre provare a fuggire. Se catturano
Eragon chiese a Saphira la sua opinione. La dragonessa gli avvolse la coda intorno alle gambe e si accoccolò accanto a lui.
Eragon si accigliò.
Murtagh scoppiò a ridere. «L'ideale per una bella leggenda da tramandare: il Cavaliere solitario che sfidò l’intero esercito del re.» Ridacchiò ancora e si alzò. «C'è niente che dovrei sapere prima di andare?»
«Non possiamo riposare e aspettare domattina?» chiese Eragon, riluttante.
«Perché? Più a lungo restiamo qui, maggiori sono le probabilità che ci scoprano. Se questo Dormand è in grado di portarti dai Varden, allora dobbiamo trovarlo il più presto possibile. Nessuno di noi due dovrebbe restare attorno a Gil'ead per più di un paio di giorni.»
«Bene» disse Murtagh, sistemandosi la spada al fianco. «A meno che non sorgano problemi, sarò di ritorno fra un paio d'ore. Mi raccomando, lasciami qualcosa da mangiare.» E con un cenno di saluto montò in sella a Tornac e si allontanò. Eragon si sedette accanto al fuoco, tamburellando nervosamente sul pomello di Zar'roc.
Le ore passarono, ma Murtagh non tornava. Eragon cominciò a camminare intorno al falò, Zar'roc in pugno, mentre Saphira scoccava continue occhiate a Gil'ead, sempre più ombrosa. Soltanto i suoi occhi si muovevano. Nessuno di loro dava voce alle proprie preoccupazioni, anche se Eragon si era lentamente preparato a partire, nel caso che un drappello di soldati fosse uscito dalla città diretto verso il campo.