Читаем Shadrach nella fornace полностью

Dirigendosi verso lo studio, attraversa come al solito il Vettore di Sorveglianza Uno, molto più tranquillo ora di quanto non fosse un quindici-venti minuti prima. Gli alti papaveri se ne sono andati, Gonchigdorge e Horthy e Labile e tutta quella folla, non rimane nessuno tranne tre sottoposti, un Citpol e due aiutanti di Avogadro; fissano seri il mosaico tremolante che fluttua attraverso le centinaia di schermi. Hanno gli occhi spenti. Sovraccarico d’informazione, di questo si tratta. Vedono così tanto che non sanno più quel che stanno vedendo.

Aggirando il Vettore di Comitato Uno, Shadrach, che non ha voglia di irrompere nel mezzo di una riunione di politicanti in quella mattinata tesa, segue la via più lunga per arrivare al proprio studio, passando per lo studio vuoto di Gengis Mao e per la maestosa sala da pranzo del Khan. Come sempre, è rassicurante per lui ritrovarsi circondato dalla familiarità dei suoi talismani, i suoi libri, la sua collezione di strumenti medici. Vaga da una bacheca all’altra, sentendosi già meglio. Prende in mano il suo divaricatore, un sinistro forcipe a gomiti divergenti usato per curiosare nelle ferite aperte. Pensa a Mangu, spiaccicato contro la pavimentazione dello spiazzo; scaccia il pensiero. Esamina la sega a denti sottili che qualche chirurgo del diciottesimo secolo usava per portare a termine operazioni. Pensa a Gengis Mao, livido, gli occhi vitrei, intento a ordinare arresti di massa. Decapitateli tutti! Potrebbe essere quello il prossimo passo; perché no? Mordecai raccoglie una bambola anatomica proveniente dalla Bologna del quindicesimo secolo, un elegante homunculus femmina in avorio… Qual è il femminile di homunculus, si chiede? Homuncula? Foeminacula? La pancia e il seno si sollevano alla pressione di un polpastrello, rivelando cuore, polmoni, organi addominali, perfino un feto, accoccolato nell’utero come un canguro nel marsupio. E i libri, oh, sì, i preziosi libri polverosi, precedentemente posseduti da grandi medici di Vienna, Montreal, Savannah, New Orleans. Il Philonium Pharmaceuticum et Cheirurgicum di Valesco de Taranta, 1599! La Gynaecologia Historico-Medica di Martin Schurig, 1730, ricca di dettagli di deflorazione, lussuria, penis captivus e altre cose mirabolanti! E questo è il vecchio Die Cellularpathologie di Rudolf Virchow, del 1852, che proclama come ogni organismo vivente sia “uno Stato di cellule in cui ogni cellula è un cittadino”, come una malattia sia “un conflitto tra i cittadini di questo Stato, originato dall’azione di forze esterne”. Aux armes, citoyens! Cos’avrebbe detto Virchow di fegati trapiantati, polmoni presi a prestito? Li avrebbe chiamati mercenari assoldati, non c’è dubbio: i soldati di ventura della metafora medica. Almeno si combatte lealmente, nelle guerre cellulari: senza defenestrazioni furtive, senza cecchini sul cavalcavia. E questo libro enorme: Grootdoorn, Iconographia Medicalis, seducenti incisioni antiche. Ecco, qui, San Cosma e San Damiano in questo ritratto del sedicesimo secolo, rappresentati nell’atto di attaccare la gamba del moro ucciso al moncherino della vittima di un tumore. Profetico. Chirurgia del trapianto versione ’500 dopo Cristo, eseguita postuma, niente di meno, dai sacri chirurghi. Se mai troverò l’originale di quella stampa, pensa Shadrach, lo regalerò a Warhaftig per Hanukkà.

Passa più di un’ora ad aggiornare la scheda medica di Gengis Mao: dettando un rapporto sull’operazione al fegato, aggiunge una postilla relativa al breve episodio di allarme del mattino. Un giorno il dossier su Gengis Mao sarà un classico della medicina, a fianco del Papiro di Smith e della Fabrica, e lui ci lavora su con impegno e coscienza, preparandosi il posto nella storia della propria arte. Ha appena terminato il resoconto, quando arriva una telefonata di Katya Lindman.

— Puoi scendere al laboratorio del Talos? — gli chiede. — Mi farebbe piacere mostrarti la nostra ultima simulazione.

— Lo posso immaginare. Hai sentito di Mangu?

— Naturalmente.

— Non sembri troppo preoccupata.

— Che cos’era Mangu? Mangu era un’assenza. Ora l’assenza è assente. La sua morte è stata un evento di portata maggiore di tutta la sua esistenza.

— Dubito che lui vedesse la cosa allo stesso modo.

— Sei così sensibile, Shadrach — dice lei nella voce piatta che, lui lo sa, Katya riserva alle espressioni di sarcasmo. — Vorrei provare anch’io l’amore che provi tu per il genere umano.

— Sarò lì tra un quarto d’ora, Katya.

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