— Come se stessimo preparando un processo, giuria, avvocati — dice amaro Buckmaster. — Come se io non fossi già destinato a essere carne da macello prima del tramonto!
— Non mi ha detto niente a proposito di Mangu ieri notte, vero? — chiede Shadrach.
— No. Sul nastro non c’è niente.
— Come pensavo. Perché tenerlo prigioniero, allora?
— Perché difenderlo, dottore? Secondo la registrazione, l’ha insultata e offesa.
— Non me lo sono dimenticato. Ma non gli serbo rancore per questo. Ieri notte mi ha infastidito pesantemente, ma questo non è un motivo sufficiente perché io desideri di vederlo spedire al vivaio di organi.
— Diglielo ancora! — implora Buckmaster. — Oh, Dio santo, diglielo!
— Per favore — dice Avogadro. Lo sfogo di Buckmaster pare causargli dolore. Fa un segnale al suo uomo e Buckmaster viene slegato, liberato dagli elettrodi, viene aiutato ad alzarsi in piedi e condotto via dalla stanza. Sulla soglia Buckmaster si arresta e si volge indietro, la faccia distrutta, distorta dalla paura. Gli tremano le labbra: è sul punto di scoppiare in singhiozzi. — Non sono stato io! — grida disperato, e i sottoposti di Avogadro lo portano via.
— Non è stato lui — dice Shadrach. — Ne sono sicuro. Era fuori di sé l’altra notte, urlava e strepitava, ma non è un assassino. Insoddisfatto del governo, forse. Ma non un assassino.
Avogadro, lasciandosi cadere sulla sedia da interrogatorio, gioca con gli elettrodi, arrotolandosi i cavi serpeggianti attorno alle dita. — Questo lo so — dice.
— Che ne sarà di lui?
— Il vivaio di organi. Prima di domani mattina, probabilmente.
— Ma perché?
— Gengis Mao ha ascoltato la registrazione. Considera Buckmaster pericoloso.
— Ma Cristo!
— Vada a discutere con Gengis Mao.
— Lei non pare molto turbato — dice Shadrach.
— La cosa non mi riguarda più, dottore.
— Non possiamo lasciarlo uccidere così!
— Non possiamo?
— Io non posso.
— Se vuole cercare di salvarlo, faccia pure. Le auguro buona fortuna.
— Però potrei tentare. Un semplice tentativo.
— Quell’uomo l’ha chiamata nero bastardo — dice Avogadro. — E Giuda.
— E dovrei lasciare che lo vivisezionino per questo?
— Lei non sta
— Nessun uomo è un’isola, Avogadro.
— Dove ho già sentito questa frase?
Shadrach ha lo sguardo fisso. — Non le importa proprio? Non gliene frega niente della giustizia?
— La giustizia è roba da avvocati. Gli avvocati sono una specie estinta. Io sono solo un ufficiale di sicurezza.
— Non ci crede neanche lei, Avogadro.
— Ah, no?
— Cristo. Cristo. Non se ne venga fuori con quella storia, “sono solo uno sbirro”. È troppo intelligente per pensarlo seriamente. E io sono troppo intelligente per prenderla in parola.
Avogadro si mette a sedere più compostamente. Ha avvolto due dei cavetti attorno alla gola, a spirale, in una bizzarra maniera clownesca. La testa è reclinata da un lato, come quella di un impiccato. — Vuole che le faccia sentire il nastro di Buckmaster? C’è un momento in cui lei gli dice che non è colpa nostra se il mondo è quello che è, che accettiamo il nostro
— Io…
— Un momento. L’ha detto
— Ha mai visto un vivaio d’organi?
— No — dice Avogadro. — Ma ho sentito…
— Io ne ho visto uno. Una grande stanza silenziosa, tipo un reparto d’ospedale, ma