— No, naturalmente — rispose in fretta Carewe. — La pioggia li demoralizzerà, immagino.
— Appunto. Un gruppetto di quei matti decide di staccarsi dalla tribù e di tornare allo stato selvaggio. Si costruiscono un villaggio tutto loro e si danno alle razzie. Per un po’ tutto fila liscio. Poi gli immortali della zona, che non sono stupidi, si stufano e vengono a lamentarsi con noi. Però noi non ci lanciamo alla carica, non li riempiamo di botte. Non più. La prima cosa di cui si accorgono i nostri pelosi primitivi è che di colpo il clima diventa umidissimo, e dopo qualche settimana di piogge continue nella stagione secca, cominciano a pensare di aver offeso qualcuno nelle alte sfere. Dopo di che, in genere è facile convincerli a entrare nella grande società baldracca.
Carewe scrutò il profilo di Parma, un moderno Hemingway. — Ma tu da che parte stai?
— Non sto dalla parte dei primitivi, questo è certo. Non m’importa che scelgano una vita breve ed eccitante, piena di sangue e sperma e sudore e roba del genere, però non dovrebbero uccidere l’altra gente, William. È molto sbagliato che uccidano. Tanto sbagliato da giustificare uno stravolgimento del loro ambiente naturale.
In lontananza, al termine della strada dritta come una freccia, cominciarono ad apparire luci. — Per lo meno — disse Carewe, — la Convenzione di Helsinki non prevede che il controllo meteorologico possa essere un’arma.
— Credi? — Parma rise di nuovo. — Se vuoi la mia opinione, non l’hanno proibito solo perché si tratta dell’unica arma onnipresente nel mondo, sempre usata da tutti. Mai sentito parlare dei disordini di Cuba del secolo scorso, durante i tre anni di siccità? Non è una cosa a cui abbiano fatto molta pubblicità, però direi che l’America conosceva già il controllo meteorologico e che l’ha usato.
— Ma se hai appena detto…
— Torniamo al giorno d’oggi. Basta avere le risorse che garantiscano campi di controllo estesi e computer abbastanza in gamba da prevedere tutte le possibili interazioni, e si può buttare in piedi una guerra calma, di quelle proprio bastarde. Si può rovinare il raccolto di un’intera nazione, causare inondazioni, far diventare il clima così caldo e umido che la gente che si fa la riga dei capelli a destra comincia a odiare quelli che se la fanno a sinistra. È una guerra perfetta, William.
— Ancora non ho capito da che parte stai tu.
— Non importa. Io faccio il mio lavoro. Mi chiamano Parma della Farma.
Le luci davanti a loro crebbero improvvisamente. Arrivarono a un’altra radura circondata da edifici prefabbricati di varie dimensioni. Parma frenò davanti all’ultimo chalet di una fila doppia che formava una strada in miniatura, delimitata da alberi.
— Questa è casa tua — disse. — L’abbiamo messa su oggi pomeriggio. Non ci sono ancora i servizi, comunque puoi scaricare i bagagli. I ragazzi la finiranno intanto che noi due ce ne stiamo al club.
Carewe esitò. — Vorrei rinfrescarmi.
— Al club, William. Perdiamo tempo per la bevuta.
Carewe scese, spalancò la porta dello chalet e depositò la valigia fra quelle tenebre che sapevano di resina. Erano trascorse solo ventiquattr’ore da quando era uscito con Ritchie per la sua prima, strana serata da scapolo. Sperava solo che non lo aspettasse la stessa identica cosa. “Cosa starà facendo Athene ora, in questo istante?” Tornò sul camioncino. Si sentiva più che mai abbandonato a se stesso. Il veicolo ripartì, si fermò davanti a una geocupola abbastanza grande che era la sede del club. L’interno circolare, col banco al centro, aveva l’aria inconfondibile del locale gestito da una ditta per i propri dipendenti. Sul pavimento a sezioni orizzontali, tavoli e sedie pieghevoli. In una bacheca erano appesi diversi fogli: alcuni erano senza dubbio comunicazioni ufficiali, altri preannunciavano serate di follia ed erano decorati alla bell’e meglio da disegnatori dilettanti. Faceva caldo, ma Carewe rabbrividì. Quando tornò dalla toilette, Parma si era seduto a un tavolo e aveva davanti due boccali di birra da mezzo litro.
— Prima delle otto non servono altro — spiegò. — Il che dovrebbe impedire a gente come me di perdere la testa troppo presto. — Sollevò il bicchiere, lo vuotò d’un fiato, con un sorriso sdegnoso. — È di una misura molto antidemocratica e del tutto idiota.
Carewe assaggiò la birra: era fresca, ottima di sapore. Senza riflettere, imitò Parma, socchiudendo gli occhi al passaggio del liquido in gola.
— Ehi, ci sai fare con la pinta — disse Parma. La pinta era caduta in disuso come unità di misura, ma era diventata una specie di simbolo per i bevitori. — Ordina tu.