Читаем Un milione di domani полностью

Scoprì, ancora una volta, che per lui l’arrivo fisico in un posto nuovo era un fatto di nessuna importanza: il vero significato stava nel suo arrivo psicologico, spirituale. E quest’ultimo era sempre ritardato, a volte di giorni o persino di settimane, dal fatto che in compagnia di altre persone lui non riusciva mai a essere veramente se stesso, il che gli impediva di reagire all’ambiente nuovo. Nei suoi primi anni di lavoro, una volta si era recato a Polar City per un seminario di tre settimane. Le aveva trascorse tutte in una specie di delusione ovattata perché non riusciva a provare il minimo senso di cambiamento, di diversità. Ma l’ultimo giorno, libero dal programma di lezioni e dalla compagnia insistente degli altri contabili, si era allontanato dalla città, aveva camminato per più di un chilometro e mezzo in quel paesaggio antico. Nel preciso istante in cui aveva aggirato una cresta di banchisa, bianca da accecare, perso ogni contatto visivo con la civiltà, lui, Will Carewe, aveva scoperto di trovarsi in Antartide, quasi precipitato lì da un incantesimo che lo aveva rapito alla sua esistenza normale solo un secondo prima. La bellezza eterna e nemica del posto lo aveva paralizzato, gli aveva bloccato il respiro in gola, riempito gli occhi di visioni che non sarebbero mai svanite.

In quel momento, trovandosi di colpo solo, ebbe una rivelazione simile; e aggirò con l’anfibio cespugli di rubiacee dai colori vivacissimi, che coi loro calici lobati riempivano l’aria di urla silenziose, solo visive. Carewe capì di avere davanti a sé pericoli, avventure, esperienze nuove; e se il futuro più immediato gli riservava tante cose, quanto non gli avrebbero dato un milione di domani? La sensazione di essere nel pieno della Vita, di essere intriso delle sue essenze multicolori, non poteva certo ripagarlo degli eventi che lo avevano condotto a quel punto; però era “vivo”. Accorgendosi che in lui si stava scatenando una reazione emotiva equivalente agli scoppi improvvisi d’ilarità che si verificano tanto spesso nelle situazioni più disperate, cercò di abbassare la propria temperatura psichica; ma, quando l’anfibio s’infilò in un fiume alquanto ampio apparso all’improvviso, Carewe fischiettava. Le acque del fiume erano scure e agitate, probabilmente a causa del temporale interminabile che il controllo meteorologico aveva scatenato nelle vicinanze.

Rallentò un poco la velocità del motore, per non sollevare troppa fanghiglia, e puntò il muso verso la continuazione del sentiero, sulla riva opposta. L’anfibio avanzò sicuro sulle acque turbolente; poi, a metà fiume, il motore si spense. Non ci fu nessuna indicazione preliminare, non un rallentamento inspiegabile, né un cambiamento nel ronzio della turbina: solo un arresto totale e improvviso. L’anfibio cominciò ad affondare. Si udì un’esplosione sibilante quando il metallo rovente del motore venne sommerso, e tre secondi più tardi Carewe si trovò in fondo al fiume, chiuso in una bolla di plastica marrone scuro.

Urlò, chiese aiuto.

Tempo dopo, si rese conto che urlare non bastava. Si costrinse a chiudere la bocca. Il campo elastico d’emergenza gli aveva impedito di andare a sbattere contro il quadro dei comandi, e la superba tecnica di costruzione della cabina di guida faceva sì che non entrasse acqua; però, rimanendo lì sarebbe morto soffocato. Sganciò la serratura della porta e la spinse. Non successe niente. Terrorizzato all’idea che l’impatto avesse distorto la struttura della porta, appoggiò la spalla alla plastica durissima.

Un filo d’acqua gli colò sulle caviglie, ma la porta, bloccata dalla pressione esterna, non si mosse. L’unica cosa da fare era pareggiare la pressione esterna con quella interna lasciando entrare acqua; ma, quando Carewe si sentiva ormai distrutto per le spallate contro la plastica, il pavimento della cabina era appena umido. Pensò di rimettersi a urlare; poi accettò il fatto che il milione di domani che sognava erano affidati esclusivamente alle sue mani.

Nella cabina non entrava acqua eppure prima, mentre viaggiava, l’aria continuava ad affluire dall’esterno, il che significava che le prese d’aria dovevano essersi chiuse automaticamente al primo contatto con l’acqua. Era possibile che ce ne fosse qualcuna non in perfetto ordine? Con una certa difficoltà tolse dal tettuccio il pannello di protezione. Apparvero tubi di plastica che uscivano tutti da un raccordo centrale. Evidentemente, il raccordo usciva all’esterno del veicolo. Afferrò i tubi e provò a tirarli. Si piegarono leggermente, ma non cedettero. Carewe perse di nuovo il controllo di sé. Si buttò sul sistema di ventilazione, tirò e torse con tutta la forza che aveva; poi una fitta al petto gli disse che la riserva d’aria della cabina era quasi esaurita. Le tubature in plastica, costruite in conformità agli standard delle Nazioniunì, non mostravano di avere subito il minimo danno.

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