La lama era sottilissima. A furia di affilarlo, il coltello è diventato una specie di fioretto. Insomma, come arma non valeva un granché.
— Per fortuna. — Siccome non avvertiva dolore, Carewe tentò di mettersi a sedere sul lettino.
— Piano, piano — disse Storch, costringendolo di nuovo a coricarsi. — Avete il polmone destro perforato, e il medico lo ha disattivato.
— Disattivato! Ma allora…
— È solo una misura temporanea. Per permettere al polmone di riprendersi, tutto qui. — Storch girò la testa verso qualcuno al di fuori della visuale di Carewe. — Giusto, dottore?
— Giustissimo — rispose una voce maschile. — Non dovete allarmarvi, signor Carewe. Per un po’ il polmone ha sanguinato, ma ormai abbiamo fermato la perdita e tolto tutto il sangue che era uscito. Adesso bisogna solo lasciar riposare il polmone. — Capisco. — Carewe, al pensiero che uno dei suoi polmoni gli penzolasse inerte nel petto, si sentì male. Si mise a respirare, concentrando l’attenzione sulle funzioni interne del corpo. Per la prima volta in vita sua, si accorse che il processo d’inspirazione non partiva dai polmoni, ma dai muscoli del torace. Il torace si espanse, gonfiando le borse organiche preposte alla respirazione, facendo entrare l’aria dal naso e dalla bocca; solo che, nel suo caso, funzionava solamente un polmone. Quasi aspettandosi di sentirsi soffocare, Carewe si concentrò sul processo della respirazione mentre lo adagiavano su una barella e lo trasportavano su un’ambulanza.
Alla base, lo sistemarono in una cupola di dimensioni medie che fungeva da infermeria. Accanto a lui, c’erano altri tre letti, tutti vuoti. Il pomeriggio trascorse tranquillo. Ogni trenta minuti ricevette la visita di una infermiera, e un medico, il dottor Redding, si fece vivo due volte per vedere come stava e per tranquillizzarlo: lo avrebbero fatto ripartire da lì il giorno dopo. Tutti e due trattarono Carewe con una gentilezza neutra che servì solo a farlo sentire depresso e inutile. Era noto che le squadre Primitivi erano sempre a corto di personale, e che quindi in genere non rifiutavano nessuno; però, sin dall’inizio, lui aveva avuto l’impressione che gli altri si ritenessero professionisti costretti, di tanto in tanto, ad accettare la buona volontà di qualche dilettante. Kendy aveva definito la cosa “sindrome di Beau Geste”. Carewe non aveva idea di chi fosse Beau Geste; però nutriva il sospetto che il suo exploit avrebbe scatenato parecchie risate, la sera, al club Nazioniunì. Quindi, si concesse il lusso di addormentarsi, sperando di sognare di Athene e di un passato tranquillo, caldo…
Il mattino dopo, mentre falene bianche sbattevano contro le finestre, ricevette tutta una serie di visite: Kendy, Storch, Parma, e alcune facce che ricordava vagamente dalla sbornia della prima sera. Parma fu l’unico a esprimere un dispiacere genuino quando seppe che Carewe stava per ripartire. Con espressione solenne, gli offrì di portare un po’ di birra dal club per celebrare la partenza. Carewe gliene fu riconoscente, ma rifiutò; e quando l’altro fu uscito, chiese un sedativo all’infermiera. Inghiottì la capsula e fissò stoicamente il soffitto, aspettando che facesse effetto.
Si svegliò molto più tardi, sicuro che qualcosa non andasse per il verso giusto. Per un attimo restò a fissarsi il polso inerte; poi ricordò che la zona di Nouvelle Anvers era troppo lontana dai trasmettitori di segnali perché l’orologio tatuato potesse funzionare. Qualcuno si avvicinò al suo letto. Un uomo giovane, con la carnagione scura, gli tendeva un bicchiere d’acqua e una pillola azzurro pallido.
— Scusate se vi disturbo, signor Carewe — disse lo sconosciuto, a voce bassa. — È ora di prendere questa pastiglia.
— A cosa serve? — chiese Carewe, ancora mezzo addormentato.
— Il dottor Redding non vuole correre rischi con una ferita. Non è igienico, da queste parti.
— Be’, sì, certo… — Carewe si appoggiò su un gomito, prese il bicchiere, accettò la pastiglia senza ulteriori commenti. Stava per mettersela in bocca, quando notò che le unghie dello sconosciuto erano luride. La luce era fioca, ma riuscì lo stesso a mettere a fuoco gli occhi; e allora vide che il dorso delle mani dell’altro era solcato da vene di sporcizia.
— Un attimo — disse, cercando di vincere l’effetto del sedativo. — Siamo sicuri che il dottor Redding voglia farmi prendere questa pastiglia?
— Ne sono certissimo.
— E se rifiutassi?
— Sentite, signor Carewe… — Quelle parole avevano un tono d’urgenza. — Non creiamo problemi. Prendete la pastiglia, eh?
— La prenderò quando avrò visto il dottor Redding. — Tentò di guardare in faccia lo sconosciuto, ma testa e spalle erano oltre il cono di luce proiettato dalla lampada sul comodino.
— Bene, signor Carewe. Non voglio stare a discutere.