Ormai il cratere si era ampliato a tal punto che i suoi bastioni stavano scivolando sotto l’orizzonte e più piccoli crateri dai quali era costellato l’interno incominciavano a rivelare le loro vere dimensioni. Alcuni di essi, per quanto fossero sembrati minuscoli da lontano nello spazio, avevano un diametro di parecchi chilometri e avrebbero potuto inghiottire intere città.
Guidata dai comandi automatici, la «navetta» scivolava giù nel cielo stellato, verso quel desolato paesaggio baluginante nella luce della grande Terra gibbosa. Ora una voce stava chiamando da qualche punto, vincendo il sibilo dei getti e i bipbip elettronici che andavano e venivano nella cabina di comando.
«Controllo Clavius a Speciale 14, state venendo giù bene. Per favore, procedete a controllo manuale del blocco dispositivo di atterraggio, della pressione idraulica, del gonfiaggio ammortizzatore d’urto.»
Il pilota azionò svariati interruttori. Spie verdi si accesero ed egli rispose: «Tutti i controlli manuali completati. Blocco dispositivo di atterraggio, pressione idraulica, ammortizzatore d’urto OK».
«Confermato», dissero dalla Luna, e la discesa continuò silenziosamente. Sebbene vi fosse sempre uno scambio di numerosissime comunicazioni, tutto veniva fatto da apposite apparecchiature, che si trasmettevano a vicenda impulsi binari con una rapidità mille volte maggiore di quanto potessero comunicare i loro costruttori, dai lenti processi mentali.
Alcuni picchi di montagne stavano già torreggiando sopra alla nave spaziale; ora la superficie della Luna distava poco più di un migliaio di metri, e la luce del faro era una vivida stella, che lampeggiava costantemente sopra un gruppo di bassi edifici e di bizzarri veicoli. Nella fase finale dell’allunaggio, i getti parvero suonare uno strano motivo; pulsarono a intermittenza apportando le ultime precise regolazioni alla spinta.
Bruscamente, una turbinosa nube di polvere nascose ogni cosa, i getti pulsarono un’ultima volta e l’Aries-1B oscillò molto lievemente, come una barca a remi quando passa una piccola onda. Trascorsero alcuni minuti prima che Floyd riuscisse realmente ad accettare il silenzio che ora lo avvolgeva e la debole gravità che gli legava le membra.
Aveva compiuto, senza il benché minimo incidente e in poco più di un giorno, il viaggio incredibile sognato dagli uomini per duemila anni. Dopo un volo di normale amministrazione, era sceso sulla Luna.
10. LA BASE CLAVIUS
Clavius, con un diametro di duecentoquaranta chilometri, è il secondo cratere in ordine di grandezza sulla faccia visibile della Luna, e si trova al centro degli altipiani meridionali. È antichissimo; ere di fenomeni vulcanici e di bombardamenti dagli spazi ne hanno coperto di cicatrici le pareti, butterandone il fondo. Ma dopo l’ultima era di formazione dei crateri, quando i frammenti della fascia di asteroidi ancora stavano percuotendo i pianeti interni, aveva conosciuto la pace per circa mezzo miliardo di anni.
Ora vi erano nuovi e strani movimenti sulla sua superficie e sotto di essa, poiché lì l’uomo stava organizzando la sua prima testa di ponte permanente sulla Luna. La Base Clavius sarebbe potuta essere, in una situazione di emergenza, completamente autonoma. Tutto ciò ch’era necessario alla vita veniva estratto dalle rocce locali, dopo ch’erano state stritolate, riscaldate e lavorate chimicamente. L’idrogeno, l’ossigeno, il carbonio, l’azoto, il fosforo… tutti questi elementi, e quasi tutti gli altri, esistevano sulla Luna, se si sapeva dove cercarli.
La Base era un sistema chiuso, come un minuscolo modello funzionante della Terra stessa, in cui si ristabiliva il ciclo di ogni elemento chimico della vita. L’atmosfera veniva purificata in una vasta «serra»… un grande ambiente circolare scavato subito sotto la superficie lunare. Illuminati da lampade accecanti durante la notte, e dalla luce solare filtrata durante il giorno, si stendevano ettari di tozze piante verdi, che crescevano in un’atmosfera calda e umida. Si trattava di mutazioni speciali create allo specifico scopo di saturare l’aria di ossigeno, e di fornire verdure come sottoprodotto.
Altri viveri erano prodotti mediante sistemi di lavorazione chimica e coltura delle alghe. Anche se la schiuma verde che circolava attraverso metri e metri di tubi di plastica trasparenti non avrebbe certo allettato un buongustaio, i biochimici riuscivano a trasformarla in braciole e costolette che soltanto un esperto sarebbe riuscito a distinguere da quelle autentiche.