«È un bruttissimo posto; ci si fa male quando si cade. E inoltre, c’è troppa gente.»
Sicché ecco qui, si disse Floyd, la prima generazione dei NatinelloSpazio; ve ne sarebbero stati molti di più negli anni a venire. Sebbene vi fosse malinconia in questa riflessione, v’era anche una grande speranza. Una volta che la Terra fosse divenuta mansueta e tranquilla, e forse un po’’ stanca, vi sarebbero state ancora opportunità per coloro che amavano essere liberi, per i duri pionieri, per gli irrequieti avventurieri. Ma i loro mezzi non sarebbero consistiti in una scure e in un fucile, in una canoa e in un carro coperto; essi avrebbero potuto disporre di centrali nucleari, di reattori al plasma, di colture in soluzioni liquide nutritive. Si stava avvicinando rapidamente il momento in cui la Terra, come tutte le madri, avrebbe dovuto dire addio ai propri figli.
Alternando le minacce alle promesse, Halvorsen riuscì a liberarsi della sua decisa figliola e condusse Floyd nell’ufficio. L’ufficio dell’amministratore aveva una superficie di pochi metri quadrati appena, ma riusciva a contenere tutte le suppellettili e tutti i simboli della condizione sociale di un capo di dipartimento il cui stipendio raggiungeva i cinquantamila dollari annuì. Fotografie con dedica di importanti uomini politici, compresi il Presidente degli Stati Uniti e il segretario generale delle Nazioni Unite, ornavano una parete, mentre altre fotografie con dedica di famosi astronauti ne rivestivano quasi completamente un’altra.
Floyd affondò in una comoda poltrona di cuoio, e gli fu offerto un bicchierino di xères, prodotto dai laboratori biochimici lunari. «Come stanno andando le cose, Ralph?» domandò Floyd, sorseggiando il vino dapprima con circospezione e poi con approvazione.
«Non troppo male», rispose Halvorsen. «Però, c’è qualcosa che sarebbe bene lei sapesse, prima di recarsi laggiù.»
«Di che si tratta?»
«Be’, presumo che si potrebbe definirlo un problema di morale», sospirò Halvorsen.
«Oh?»
«Non è ancora grave, ma arriverà presto alla gravità.»
«Il veto sulle comunicazioni», disse Floyd con voce neutra.
«Per l’appunto», rispose Halvorsen. «I miei collaboratori incominciano a esserne molto innervositi. In fin dei conti, hanno quasi tutti le famiglie sulla Terra; probabilmente i loro cari crederanno che siano morti tutti quanti di pestilenza lunare.»
«Me ne dispiace», disse Floyd, «ma nessuno è riuscito a escogitare un pretesto migliore, e fino a questo momento ha funzionato. A proposito… ho incontrato Moisevic sulla Base Spaziale, e persino lui l’ha bevuta.»
«Be’, ciò dovrebbe far gioire i servizi segreti.»
«Non troppo… ha saputo del TMA-1; le voci stanno incominciando a diffondersi. Ma non possiamo assolutamente diramare alcun comunicato fino a quando non avremo saputo che cos’è il dannato oggetto e se dietro di esso non vi siano i nostri amici cinesi.»
«Il dottor Michaels ritiene di aver trovato la soluzione. Muore dalla voglia di dirtelo.»
Floyd vuotò il bicchiere. «Ed io muoio dalla voglia di ascoltarlo. Andiamo.»
11. ANOMALIA
La conferenza ebbe luogo in una vasta sala rettangolare che avrebbe potuto contenere facilmente cento persone. Era attrezzata con i più recenti ritrovati ottici ed elettronici e avrebbe avuto l’aspetto di una sala per conferenze modello, se non fosse stato per i numerosi manifesti, calendari di pinup, avvisi e dipinti dilettanteschi che lasciavano capire come essa fosse altresì il centro della vita culturale locale. Floyd rimase particolarmente colpito da una collezione di cartelli, ovviamente riuniti con amorevole cura, e sui quali si leggevano avvertimenti come:
SI PREGA DI NON CALPESTARE L’ERBA… VIETATO IL PARCHEGGIO NEI GIORNI PARI… DÉFENSE DE FUMER… PER LA SPIAGGIA… ATTRAVERSAMENTO DI BESTIAME… CUNETTE… e VIETATO DARE CIBO AGLI ANIMALI.
Se si trattava di cartelli autentici, e senz’altro sembravano esserlo, averli trasportati dalla Terra doveva essere costato un piccolo patrimonio. V’era in essi una sfida commovente; in un mondo ostile, gli uomini riuscivano ancora a scherzare sulle cose che erano stati costretti ad abbandonare e delle quali i loro figli non avrebbero mai sentito la mancanza.
Un gruppo di quaranta o cinquanta persone stava aspettando Floyd, e tutti si alzarono educatamente, mentre lui entrava dietro l’amministratore. Salutando con cenni del capo varie facce familiari, Floyd bisbigliò ad Halvorsen: «Gradirei dire qualche parola prima della conferenza.»
Sedette poi in prima fila, mentre l’amministratore saliva sulla pedana e volgeva lo sguardo sugli ascoltatori.