«So che ci stai pensando già da qualche tempo, Dave, ma questo sarebbe un terribile sbaglio. Sono molto più capace di te di governare l’astronave e ho un grandissimo entusiasmo per la missione e una fiducia grandissima nel suo successo.»
«Ascoltami con molta attenzione, Hal: a meno che tu non mi passi immediatamente il comando manuale di ibernazione e non esegua ogni ordine che ti darò d’ora in poi, mi recherò nella Centrale e ti disinserirò completamente.»
La resa di Hal fu tanto totale quanto imprevista. «Okay, Dave», egli disse. «Sei senz’altro il capo. Stavo soltanto cercando di fare quello che ritenevo fosse più giusto. Naturalmente eseguirò tutti i tuoi ordini. Hai ora il pieno comando manuale dell’ibernazione.»
Hal aveva mantenuto la parola. Gli indici degli indicatori dell’hibernaculum erano scattati da AUTOMATICO a MANUALE. La terza posizione (RADIO) era ovviamente inutile fino a quando non fosse stato possibile ristabilire il contatto con la Terra.
Mentre faceva scorrere la porta del cubicolo di Whitehead, Bowman senti una folata d’aria gelida investirlo in faccia, e il suo alito si condensò in nebbia. Eppure lì non faceva realmente freddo; la temperatura era molto sopra il punto di congelamento. Vale a dire trecento gradi più che nelle zone dello spazio ove si stavano dirigendo adesso.
L’indicatore biosensorio, identico a quello che si trovava sul ponte di controllo, mostrava che tutto era perfettamente normale. Bowman contemplò per qualche momento il volto cereo del geofisico della squadra di ricognizione; Whitehead, pensò, si sarebbe meravigliato molto destandosi così lontano da Saturno.
Sarebbe stato impossibile capire che l’uomo addormentato non era morto; non si scorgeva il benché minimo indizio visibile di un’attività vitale. Senza dubbio il diaframma si stava sollevando e abbassando impercettibilmente, ma soltanto la curva della «respirazione» lo dimostrava, perché il corpo rimaneva interamente nascosto dai cuscinetti elettrici di riscaldamento che avrebbero aumentato la temperatura con il ritmo programmato. Poi Bowman notò che v’era un segno di ininterrotto metabolismo: la barba di Whitehead era cresciuta lievemente durante i mesi di vita inconscia.
L’ordinatore manuale di sequenza del risveglio era contenuto in un piccolo armadietto a un’estremità dell’hibernaculum a forma di bara. Bastava rompere il sigillo, premere un pulsante e aspettare. Un piccolo programmatore automatico, non molto più complicato di quelli che regolano i cicli di lavaggio nelle lavatrici domestiche, avrebbe allora iniettato i farmaci opportuni, diminuito gli impulsi dell’elettronarcosi e incominciato a innalzare la temperatura del corpo. In dieci minuti circa l’ibernato avrebbe ripreso conoscenza, anche se sarebbe occorso poi almeno un giorno prima che fosse in grado di muoversi senza essere aiutato.
Bowman spezzò il sigillo e premette il pulsante. Parve che non accadesse nulla; non si udì alcun suono, non vi fu alcuna indicazione del fatto che l’ordinatore di sequenza aveva cominciato a funzionare. Ma, sull’indicatore biosensorio, le curve che languidamente pulsavano avevano cominciato a modificare il loro ritmo. Whitehead stava emergendo dal sonno.
E poi accaddero due cose contemporaneamente. La maggior parte delle persone non avrebbero notato né l’una né l’altra, ma, dopo tutti quei mesi a bordo della Discovery, era venuta a determinarsi una specie di simbiosi tra Bowman e l’astronave. Quando si verificava un mutamento qualsiasi nel ritmo normale del suo funzionamento, egli se ne accorgeva all’istante, anche se non sempre consapevolmente.
Anzitutto vi fu un’attenuazione appena percettibile delle luci, come sempre accadeva quando i circuiti elettrici venivano assoggettati a un nuovo carico. Ma adesso non v’era alcun motivo che giustificasse un nuovo carico; non gli venne in mente alcun apparato che dovesse entrare improvvisamente in funzione proprio in quel momento.
Poi sentì, ai limiti dell’udibilità, il ronzìo lontano di un motore elettrico. Per Bowman, ogni motore della nave spaziale aveva la sua voce caratteristica; questo lo riconobbe immediatamente.
O era impazzito e già stava soffrendo di allucinazioni, oppure stava accadendo qualcosa di assolutamente impossibile. Un gelo di gran lunga più intenso di quello relativamente mite dell’hibernaculum parve fermargli il cuore, mentre ascoltava la debole vibrazione che giungeva sino a lui attraverso le strutture dell’astronave.
Giù nella rimessa delle capsule, entrambi i portelli della camera di equilibrio si stavano aprendo.
27. NECESSITÀ DI SAPERE