Edward abbassò le mani senza neanche respirare mentre ascoltavo sempre più a fondo i rumori della ragnatela verde e passavo al vaglio i profumi, i suoni, in cerca di qualcosa che non fosse del tutto repellente alla mia sete. Ed ecco la traccia di qualcosa di diverso, debole, verso est...
I miei occhi si aprirono di scatto, ma la mia concentrazione era dedicata a sensi più raffinati, mentre mi lanciavo e sfrecciavo silenziosa verso est. Il terreno salì ripido e scosceso quasi di colpo e io corsi in posizione di caccia, accovacciata, arrampicandomi sugli alberi quando potevo. Più che sentirne il rumore, avvertivo la presenza di Edward accanto a me: rimontava silenzioso attraverso il bosco, lasciando che fossi io a guidare.
La vegetazione si fece più rada mano a mano che salivamo; il profumo di pino e resina diventava sempre più potente, così come la traccia che stavo seguendo; un odore caldo, più nitido e invitante di quello dell’alce. Dopo qualche secondo sentii il passo sordo di zampe immense, molto meno evidente dello scalpiccio degli zoccoli. Veniva dall’alto, dalla vegetazione anziché dal terreno. Automaticamente anch’io mi lanciai sui rami, guadagnando una posizione strategica più alta, a metà di un torreggiante abete argentato.
Il rumore morbido delle zampe continuava circospetto sotto di me; quella fragranza così ricca era vicinissima. I miei occhi ne localizzarono il movimento e vidi il mantello fulvo dell’enorme felino muoversi di soppiatto lungo l’ampia chioma di un abete rosso, appena al di sotto e a sinistra del mio trespolo. Era grosso, almeno quattro volte più di me. Lo sguardo era fisso sul terreno sottostante: anche lui era a caccia. Intercettai l’odore di qualcosa di più piccolo, più delicato, vicino all’aroma della mia preda, acquattato sotto gli alberi. La coda del puma oscillava spasmodica mentre si preparava a scattare.
Con un balzo leggero, volai in aria e atterrai sul suo ramo. Quando sentì tremare il legno si voltò di scatto e ruggì di sorpresa e in segno di sfida. Graffiò con una zampata lo spazio fra noi, gli occhi accesi di furia. Mezza accecata dalla sete, ignorai le fauci spalancate e gli artigli uncinati e mi lanciai su di lui, trascinando entrambi sul terreno della foresta.
Lo scontro non fu granché.
L’impatto delle unghie taglienti sulla pelle somigliava a quello di dita carezzevoli. I suoi denti non riuscirono a far presa né sulla mia spalla né sul collo. Il suo peso non era niente per me. I miei denti trovarono senza errori la sua gola e la sua resistenza istintiva fu tristemente fragile contro la mia forza. Le mie mascelle si chiusero morbide nel punto preciso in cui si concentrava il flusso di calore.
Fu semplice come mordere il burro. I miei denti erano rasoi d’acciaio: tagliarono la pelliccia, il grasso e i tendini come se non ci fossero.
L’odore non era quello giusto, ma il sangue caldo e umido placò la mia smania, mentre bevevo con bramosia ardente. La resistenza del felino si fece sempre più debole e i suoi strepiti si affievolirono in un gorgoglio. Il calore del sangue s’irradiò lungo tutto il mio corpo e mi riscaldò fino alla punta delle dita.
Il puma perse le forze prima che io potessi riprenderle. Dopo averlo dissanguato, la sete divampò di nuovo e spinsi via la sua carcassa con disgusto. Come potevo essere ancora assetata?
Mi alzai con un movimento fulmineo. Mi resi conto di essere un mezzo disastro. Mi pulii il viso con il dorso della mano e provai a sistemare il vestito. Gli artigli, inefficaci sulla mia pelle, avevano avuto un certo successo con la seta.
«Mmm», disse Edward. Alzai lo sguardo e lo vidi, appoggiato comodamente contro il tronco di un albero, mentre mi osservava pensieroso.
«Immagino che avrei potuto fare di meglio». Ero tutta sporca, con i capelli arruffati, il vestito macchiato di sangue e ridotto a brandelli. Edward non tornava dalle battute di caccia ridotto così.
«Te la sei cavata alla grande», mi rassicurò. «È solo che... stare a guardarti è stato molto più difficile di quanto immaginassi».
Alzai le sopracciglia, confusa.
«Non è da me lasciarti lottare contro un puma. Ho rischiato un attacco d’ansia per tutto il tempo».
«Che scemo».
«Lo so. Le abitudini sono dure a morire. Ma apprezzo le migliorie al tuo vestito».
Se avessi potuto arrossire, l’avrei fatto. Cambiai argomento. «Perché ho ancora sete?».
«Perché sei giovane».
Sospirai. «E non credo che ci siano altri puma nelle vicinanze».
«Però è pieno di cervi».
Feci una smorfia. «Non hanno un profumo così buono».
«Sono erbivori. L’odore dei carnivori è più simile a quello umano», spiegò.
«Be’, non proprio», ribattei provando a non ricordarmene.
«Se vuoi possiamo tornare indietro», disse serio, ma c’era una luce ironica nei suoi occhi. «Chiunque fosse, se erano dei maschi forse non avrebbero avuto paura della morte vedendola arrivare per mano tua». Il suo sguardo si soffermò di nuovo sul mio vestito sbrindellato. «Nel momento in cui fossi apparsa, avrebbero pensato di essere già morti e assunti in paradiso».