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Neanche lui era esattamente contrario a posticipare il viaggio di ritorno e fu difficile pensare a qualcos’altro che non fosse la sua pelle sulla mia... visto che dei vestiti non era rimasto granché. Ma il ricordo di Renesmee, prima e dopo la nascita, stava diventando sempre più simile a un sogno. Sempre più improbabile. I miei ricordi di lei erano umani e li avvolgeva un’aura di finzione. Niente che non avessi visto con i miei nuovi occhi, toccato con le mie nuove mani, mi appariva reale.

Con il passare dei minuti, la certezza che la piccola sconosciuta fosse vera scivolava via.

«Renesmee», acconsentii malinconica, e mi rialzai in piedi trascinando Edward con me.

22

Promessa

Pensare a Renesmee la riportò al centro della mia mente strana, nuova, spaziosa ma facile alle distrazioni. Troppe domande da fare.

«Parlami di lei», insistetti, mentre Edward mi prendeva per mano. La stretta rallentò appena la nostra corsa.

«È qualcosa di unico al mondo», rispose e nella sua voce risuonò di nuovo una devozione quasi religiosa.

Sentii un’acuta fitta di gelosia per quell’estranea. Lui la conosceva e io no. Non era giusto.

«Quanto somiglia a te? E a me? Be’, a me com’ero prima».

«Sembra avere un’equa proporzione di entrambi».

«Aveva il sangue caldo», ricordai.

«Sì. Il suo cuore batte, anche se un po’ più veloce di quello umano. Anche la sua temperatura è un po’ più calda. E dorme».

«Davvero?».

«Abbastanza, per una neonata. Siamo gli unici genitori al mondo che non hanno bisogno di dormire e nostra figlia dorme già tutta la notte», ridacchiò.

Mi piacque il modo in cui disse nostra figlia. Le parole me la fecero sembrare più vera.

«Ha esattamente lo stesso colore dei tuoi occhi... non sono andati persi, quindi». Mi sorrise. «Sono così belli».

«E dai vampiri cos’ha preso?», chiesi.

«La sua pelle sembra impenetrabile, più o meno come la nostra. Non che qualcuno voglia azzardarsi a verificarlo».

Sgranai gli occhi per la sorpresa.

«È ovvio che nessuno lo farà», mi rassicurò. «Più che mangiare, be’, preferisce bere sangue. Carlisle insiste, vuole convincerla a prendere anche qualche pappa per bambini, ma lei non ne vuole sapere. Non posso certo biasimarla, quella roba ha un cattivo odore anche rispetto al cibo umano».

Restai a bocca aperta. A sentirlo, sembrava quasi che la bambina parlasse già. «Convincerla?».

«È intelligente, da non crederci, e progredisce a passi da gigante. Anche se non parla, almeno non ancora, comunica in modo abbastanza efficace».

«Come, "non ancora"?».

Rallentò l’andatura, lasciandomi il tempo per digerire le sue parole.

«In che senso comunica in modo efficace?», domandai.

«Credo che sarà più semplice se lo vedi con i tuoi occhi. È abbastanza complicato da spiegare».

Ci pensai su. C’erano tante cose che avevo bisogno di vedere con i miei occhi perché divenissero reali. Non ero sicura di essere pronta, perciò cambiai argomento.

«Perché Jacob è rimasto?», chiesi. «Come fa a sopportarlo? Perché mai?». La mia voce melodiosa tremò. «Perché deve soffrire ancora?».

«Jacob non sta soffrendo», rispose in un tono diverso e strano. «Anche se non mi dispiacerebbe fargli cambiare umore», aggiunse a denti stretti.

«Edward!», sibilai strattonandolo per fermarlo — con un piccolo brivido di compiacimento alla certezza di esserne capace. «Come puoi dire una cosa del genere? Jacob ha dato tutto per proteggerci! Con quello che gli ho fatto passare!».

Il vago ricordo mi fece trasalire di vergogna e senso di colpa. Mi sembrava tanto strano che avessi avuto così bisogno di lui. Il senso di vuoto quando lui non c’era era svanito: doveva essere una debolezza umana.

«Vedrai con i tuoi occhi perché la penso così», mugugnò Edward. «Gli ho dato la mia parola che avrà modo di spiegarsi, ma dubito che la vedrai diversamente da me. Però, spesso mi sbaglio sui tuoi pensieri, o no?», strinse le labbra e mi guardò.

«Spiegare cosa?».

Edward scosse la testa. «Ho fatto una promessa. Anche se non sono sicuro di dovergli ancora qualcosa». Serrò i denti.

«Edward, non capisco». La mia testa si riempì di frustrazione e indignazione.

Mi sfiorò una guancia e sorrise dolcemente quando il mio viso si distese e il desiderio ebbe la meglio sul fastidio. «È più difficile di come la fai sembrare, lo so. Me lo ricordo».

«Non mi piace sentirmi confusa».

«Lo so. Andiamo a casa, così potrai vederlo da te». Ma i suoi occhi percorsero ciò che rimaneva dei miei vestiti e aggrottò le sopracciglia. «Mmm». Dopo aver pensato mezzo secondo, si sbottonò la camicia bianca e me la offrì.

«Sono così indecente?».

Un sorrisetto fu la sua risposta.

Feci scivolare le braccia nelle maniche e poi l’abbottonai rapida sul corpetto a brandelli. Ovviamente, lui era rimasto a torso nudo... impossibile non distrarsi.

«Vediamo chi arriva primo», dissi e poi lo misi in guardia: «Stavolta senza favoritismi!».

Mi lasciò la mano con un sorriso. «Dai il via...».

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