Rosalie era vari passi dietro di loro, accanto alla porta. Stava da sola, finché Jacob non la raggiunse e le si parò davanti, più vicino del normale. Non c’era alcun senso di agio in quella vicinanza, anzi, apparivano entrambi turbati da tanta prossimità.
Una cosa minuscola sporgeva dalle braccia di Rosalie e sbirciava da dietro Jacob. Immediatamente catturò la mia attenzione e ogni mio pensiero come nient’altro da quando avevo riaperto gli occhi.
«È nata solo da due giorni?», ansimai incredula.
La bimba-sconosciuta fra le braccia di Rosalie sembrava avere varie settimane, se non mesi. Era grande almeno il doppio rispetto alla piccolina dei miei vaghi ricordi e già capace di stare a schiena dritta mentre si allungava verso di me. I suoi capelli luminosi, color del bronzo, ricadevano in boccoli dietro le spalle. I suoi occhi color cioccolato mi esaminarono con un interesse per nulla infantile: era adulto, consapevole e intelligente. Per un attimo alzò una mano verso di me, poi la ritirò per toccare il collo di Rosalie.
Se il suo viso non fosse stato così strabiliante, bello e perfetto, non avrei creduto che fosse la stessa bambina. Mia figlia.
Ma nei suoi tratti c’era Edward e, nel colore degli occhi e delle guance, me stessa. Anche Charlie era presente, nei riccioli fitti, sebbene il colore fosse quello di Edward. Era nostra. Impossibile, ma vero.
Eppure, vedere quell’imprevedibile, piccolo essere umano non la rendeva più reale. La rendeva ancora più fantastica.
Rosalie le diede un buffetto sul collo e mormorò: «Sì, è lei».
Gli occhi di Renesmee erano fissi su di me. Poi, come aveva fatto solo qualche secondo dopo la sua nascita violenta, mi sorrise. Un lampo luminoso di denti bianchi piccoli e perfetti.
Dentro di me indugiavo e feci un passo incerto verso di lei.
Tutti si mossero velocissimi.
Emmett e Jasper mi si pararono davanti, spalla a spalla con le mani pronte. Edward mi afferrò da dietro, stringendo di nuovo le dita all’altezza delle mie spalle. Anche Carlisle ed Esme affiancarono Emmett e Jasper, mentre Rosalie indietreggiò verso la porta con Renesmee fra le braccia. Pure Jacob si mosse, mantenendo la sua posizione protettiva di fronte a loro.
Soltanto Alice restò al proprio posto.
«Oh, datele un po’ di fiducia», li rimbrottò. «Non stava per farle niente. Anche voi vorreste guardarla più da vicino».
Alice aveva ragione. Ero perfettamente padrona di me stessa. E pronta a tutto, a un profumo incredibile e irresistibile, come la scia umana nei boschi. Ma quest’altra tentazione era incomparabile, davvero. La fragranza di Renesmee era un perfetto equilibrio fra il profumo più buono e il cibo più delizioso. Il dolce aroma vampiresco bastava a evitare che la parte umana straripasse.
Potevo tenere tutto sotto controllo. Ne ero sicura.
«Sto bene», promisi, dando un colpetto alla mano di Edward sul mio braccio. Esitando, aggiunsi: «Ma restate vicini, non si sa mai».
Lo sguardo di Jasper era torvo, concentrato. Sapevo che stava misurando il mio livello emotivo e cercai di stabilizzare la calma. Sentii Edward sciogliere la presa mentre leggeva il giudizio di Jasper. Nonostante lo apprendesse di prima mano, Jasper non appariva troppo convinto.
Quando udì la mia voce, la bambina fin troppo consapevole si dimenò fra le braccia di Rosalie e si tese verso di me. Riuscì a mostrare un’espressione impaziente.
«Jazz, Em, state tranquilli. Bella ha tutto sotto controllo».
«Edward, il rischio...», disse Jasper.
«Minimo. Ascolta, Jasper: durante la caccia ha sentito il profumo di alcuni escursionisti che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato...».
Sentii Carlisle soffocare un respiro scioccato. Il viso di Esme si riempì all’improvviso di preoccupazione mescolata a compassione. Jasper spalancò gli occhi, ma annuì appena, come se le parole di Edward rispondessero a qualche domanda nella sua testa. La bocca di Jacob si piegò in una smorfia di disgusto. Emmett scrollò le spalle. Rosalie sembrava persino meno preoccupata di Emmett, mentre provava a tenere ferma la bambina che si dimenava.
L’espressione di Alice mi diceva che non si era fatta trarre in inganno. I suoi occhi affilati, concentrati con intensità bruciante sulla mia camicia in prestito, sembravano più preoccupati di cosa avessi combinato al vestito che di tutto il resto.
«Edward!», lo riprese Carlisle. «Come hai potuto essere tanto irresponsabile?».
«Lo so, Carlisle, lo so. Sono stato uno stupido. Prima di lasciarla andare sola avrei dovuto assicurarmi che fossimo in una zona sicura».
«Edward», mugugnai a disagio per il modo in cui mi fissavano. Sembravano curiosi di vedere quanto brillasse il rosso nei miei occhi.
«Bella, i rimproveri di Carlisle li merito tutti», disse Edward con un sorriso. «Ho commesso un grosso errore. Il fatto che non abbia mai conosciuto nessuno forte come te non cambia le cose».
Alice alzò gli occhi al cielo. «Bella battuta, Edward».