Imparai molto dai miei insegnanti, ma avevo la sensazione che le mie conoscenze fossero ancora disperatamente inadeguate. Non sapevo quanti secondi sarei durata contro Alec e Jane. Pregavo solo che fosse per il tempo necessario.
Era così difficile. Non c’era niente a cui aggrapparsi, niente di solido su cui lavorare. Sentivo solo il desiderio prepotente di rendermi utile, di riuscire a tenere al sicuro insieme a me Edward, Renesmee e il maggior numero possibile dei miei familiari. Cercavo di spingere al di fuori di me quel mio scudo nebuloso, con successi limitati e sporadici. Era come se stessi lottando per tendere un elastico invisibile, che in un qualsiasi momento poteva trasformarsi, da concreto e tangibile, in fumo impalpabile.
Soltanto Edward era disposto a prestarsi come cavia e riceveva un trauma dopo l’altro da Kate mentre io mi cimentavo inetta con quello che avevo dentro la testa. Lavoravamo per ore e mi sentivo come se avessi dovuto essere ricoperta di sudore per lo sforzo, ma naturalmente il mio corpo perfetto non mi tradiva in quel senso. La stanchezza era solo mentale.
Mi distruggeva il fatto che fosse Edward a dover soffrire, con le mie braccia che lo avvolgevano inutili mentre pativa continuamente per gli attacchi "a bassa intensità" di Kate. Cercavo con tutte le mie forze di spingere il mio scudo intorno a entrambi: a volte ci riuscivo, poi mi scivolava via di nuovo.
Odiavo esercitarmi e avrei tanto voluto che ad aiutarmi ci fosse Zafrina al posto di Kate. In quel caso Edward avrebbe dovuto solo guardare le illusioni indotte da Zafrina finché io non fossi riuscita a impedirgli di vederle. Ma Kate insisteva sul fatto che avevo bisogno di motivazioni più intense, e si riferiva a quanto detestassi l’idea che Edward soffrisse. Stavo cominciando a dubitare dell’affermazione che aveva fatto quando ci eravamo conosciute: che non usava il suo dono in modo sadico. A me sembrava proprio che si divertisse.
«Ehi», disse allegro Edward, cercando di nascondere ogni traccia di tensione dalla voce. Qualsiasi cosa, pur di evitarmi gli allenamenti di lotta. «Sei riuscita a pararlo quasi del tutto, questo. Brava, Bella».
Feci un respiro profondo e cercai di capire cosa fossi riuscita a fare precisamente. Misi alla prova l’elastico, sforzandomi di costringerlo a rimanere solido mentre lo allontanavo da me.
«Di nuovo, Kate», grugnii a denti stretti.
Kate premette il palmo sulla spalla di Edward.
Lui sospirò di sollievo. «Stavolta non ho sentito niente».
Lei alzò un sopracciglio. «Eppure era abbastanza forte».
«Meglio», dissi piccata.
«Tieniti pronta», mi disse lei e si sporse di nuovo verso Edward.
Stavolta lui ebbe un fremito e dai denti gli uscì un sibilo basso.
«Scusa! Scusa! Scusa!», ripetei mordendomi il labbro. Perché non riuscivo a farlo bene?
«Te la stai cavando alla grande, Bella», disse Edward, stringendomi a sé. «È solo da qualche giorno che ci provi e riesci già a proiettare lo scudo ogni tanto. Kate, dille quanto è brava».
Kate storse le labbra. «Non saprei. È ovvio che ha un talento enorme a cui stiamo cominciando appena ad avvicinarci. Può fare di meglio, ne sono sicura. Le mancano solo un po’ di stimoli».
La fissai incredula e le labbra mi scoprirono i denti in un riflesso automatico. Come si permetteva di pensare che mi mancassero stimoli, con lei che lanciava scosse elettriche a Edward lì sotto i miei occhi?
Sentivo i mormorii del pubblico sempre più numeroso che si era raccolto intorno a noi mentre mi allenavo: all’inizio erano solo Eleazar, Carmen e Tanya, ma poi si era avvicinato Garrett, seguito da Benjamin e Tia, Siobhan e Maggie, e ora persino Alistair sbirciava da una finestra del secondo piano. Gli spettatori erano d’accordo con Edward: pensavano che me la stessi già cavando egregiamente.
«Kate...», disse Edward in tono ammonitore mentre lei escogitava un’altra sequenza di azioni che ormai aveva già messo in moto. Sfrecciò lungo la curva del fiume fino al punto in cui Zafrina, Senna e Renesmee passeggiavano lentamente, quest’ultima mano nella mano con Zafrina, mentre si scambiavano immagini a vicenda. Jacob le teneva d’occhio da pochi metri di distanza.
«Nessie», disse Kate — i nuovi arrivati avevano imparato subito a usare quel soprannome fastidioso -, «ti piacerebbe venire ad aiutare tua madre?».
«No», quasi ringhiai.
Edward mi rassicurò con un abbraccio. Me lo scrollai di dosso appena in tempo, perché Renesmee stava attraversando il giardino con balzi leggeri per venire da me, seguita a ruota da Kate, Zafrina e Senna.
«Non se ne parla, Kate», sibilai.
Renesmee si sporse verso di me e io allargai le braccia in un gesto automatico. Mi si rannicchiò addosso, premendo la testolina nell’incavo sotto la mia spalla.
«Ma, mamma, io voglio davvero aiutarti», disse con tono deciso. Mi cingeva il collo con la mano, sottolineava il suo desiderio con immagini di noi due insieme, come una squadra.
«No», dissi, arretrando rapida. Kate aveva già fatto un passo nella mia direzione, la mano tesa verso di noi.