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«Non ti avvicinare, Kate», la misi in guardia.

«No». Cominciò ad avvicinarsi a grandi passi. Sorrideva come un cacciatore che ha intrappolato la sua preda.

Spostai Renesmee in modo che si tenesse aggrappata alla mia schiena, continuando ad arretrare seguendo il ritmo di Kate. Adesso avevo le mani libere e, se lei voleva continuare ad avere due mani attaccate ai polsi, era meglio che girasse al largo.

Probabilmente Kate non capi, perché di suo non aveva mai provato l’affetto profondissimo di una madre per un figlio. Probabilmente non si era accorta di essere andata già ben oltre il consentito. Ero così infuriata che la mia vista assunse una strana sfumatura rossastra e sulla lingua sentivo sapore di metallo bruciato. La potenza che di solito mi sforzavo di frenare scorreva libera nei muscoli ed ero consapevole che avrei potuto annientare Kate e ridurla in pietrisco duro come diamante, se solo mi avesse costretta a farlo.

La rabbia mi aiutò a concentrarmi più intensamente su ogni aspetto del mio essere. Percepivo anche l’elasticità dello scudo con maggior precisione: capii che non era un elastico, ma piuttosto uno strato, una pellicola sottile che mi copriva dalla testa ai piedi. Con la rabbia che mi ribolliva in corpo lo sentivo meglio, ne avevo un controllo più saldo. Me lo stesi attorno, poi lo allungai fino ad avvolgere completamente anche Renesmee, nell’eventualità che Kate fosse riuscita a superare la mia vigilanza.

Kate fece un altro passo avanti ben calcolato e dalla gola mi salì un ringhio feroce che sfilò fra i miei denti serrati.

«Stai attenta, Kate», la mise in guardia Edward.

Kate avanzò ancora, poi sembrò che facesse un errore che anche un’inesperta come me era in grado di riconoscere. Ormai a un passo di distanza, distolse lo sguardo, spostando l’attenzione da me a Edward.

Renesmee era al sicuro sulla mia schiena e io mi raggomitolai, pronta a balzare.

«Senti niente che arriva da Nessie?», gli chiese Kate, con voce calma e rilassata.

Edward sfrecciò nello spazio fra noi, bloccando il mio accesso a Kate.

«No, proprio niente», rispose lui. «Ora allontanati e lascia un po’ d’aria a Bella per calmarsi, Kate. Non devi stuzzicarla così. Lo so che sembra più grande, ma è un vampiro solo da qualche mese».

«Non abbiamo tempo per fare le cose con delicatezza, Edward. Dobbiamo costringerla. Restano solo poche settimane e lei ha tutte le potenzialità per...».

«Arretra un attimo, Kate».

Kate fece una smorfia, ma prese l’avvertimento di Edward molto più sul serio del mio.

Renesmee mi teneva la mano sul collo: stava ricordando l’attacco di Kate, mostrandomi che non aveva intenzione di farmi alcun male e che papà ne era al corrente...

Questo non bastò a placarmi. Continuavo a vedere uno spettro di luce macchiato di rosso cremisi. Ma avevo quasi riacquistato il controllo di me stessa e capivo la saggezza delle parole di Kate. La rabbia mi stava aiutando. Avrei imparato molto più in fretta sotto pressione.

Ciò non significava che mi piacesse.

«Kate», ruggii. Posai una mano sul fianco di Edward. Sentivo ancora il mio scudo come un telo forte e flessibile che avvolgeva me e Renesmee. Lo spinsi oltre, costringendolo intorno a Edward. Il tessuto elastico non mostrava difetti né rischi di cedimento. Ansimavo per lo sforzo e le parole mi uscivano deboli anziché rabbiose. «Rifacciamolo», dissi a Kate. «Però tocca solo Edward».

Lei alzò gli occhi al cielo, ma avanzò rapida e premette il palmo della mano sulla spalla di Edward.

«Non sento niente», disse lui. Nella voce gli udivo la sfumatura di un sorriso.

«E ora?», chiese Kate.

«Ancora niente».

«E ora?». Stavolta nella voce di Kate si avvertiva una forte tensione.

«Ancora niente».

Kate grugnì e si allontanò.

«Vedi questo?», chiese Zafrina con la sua voce profonda e selvaggia, fissandoci intensamente tutti e tre. Parlava inglese con uno strano accento, le parole salivano di tono in punti insoliti.

«Non vedo niente di strano», disse Edward.

«E tu, Renesmee?», chiese Zafrina.

Renesmee le sorrise e scosse il capo.

La mia rabbia si era quasi dissolta e serravo i denti, ansimando più forte mentre spingevo lo scudo verso l’esterno: più a lungo lo reggevo, più mi sembrava pesante. Si ritirò, trascinandosi verso l’interno.

«Niente paura», disse Zafrina avvertendo il gruppetto che mi guardava. «Voglio capire quanto riesce a estenderlo».

Tutti emisero un’esclamazione terrorizzata: Eleazar, Carmen, Tanya, Garrett, Benjamin, Tia, Siobhan, Maggie; tutti tranne Senna, che sembrava preparata all’azione successiva di Zafrina, quale che fosse. Gli altri avevano lo sguardo vacuo e l’espressione ansiosa.

«Alzate la mano quando vi ritorna la vista», li istruì Zafrina. «Ora, Bella, vedi un po’ quante persone riesci a riparare con lo scudo».

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