«Come?». Alzò lo sguardo, preso alla sprovvista dalla mia domanda. «La scadenza? Oh, no. Non si preoccupi. Le farò avere i documenti in tempo, di sicuro».
Sarebbe stato bello che ci fosse Edward, per conoscere le vere preoccupazioni di J. Sospirai. Era già abbastanza brutto dover tenere segreto qualcosa a Edward, ma stargli lontana era quasi insopportabile.
«Ci vediamo fra una settimana, allora».
34
Dichiarazioni
Mi accorsi della musica prima di uscire dall’auto. Edward non toccava il pianoforte dalla sera della partenza di Alice. Mentre chiudevo la portiera, sentii la canzone passare a un inciso e trasformarsi nella mia ninna nanna. Edward mi stava dando il bentornato.
Lentamente presi Renesmee, che dormiva come un sasso dopo che eravamo stati via tutto il giorno, per portarla fuori dell’auto. Avevamo lasciato Jacob da Charlie: diceva che si sarebbe fatto dare un passaggio da Sue. Mi chiedevo se stesse cercando di riempirsi la testa di pettegolezzi sufficienti a scacciare l’immagine dell’espressione che avevo sul viso entrando in casa di Charlie.
Mentre avanzavo piano verso casa Cullen, capii che la speranza e l’incoraggiamento morale che formavano un’aura quasi tangibile intorno alla grande villa bianca quella mattina erano appartenute anche a me, eppure adesso me ne sentivo estraniata.
Mi venne di nuovo voglia di piangere ascoltando Edward che suonava per me. Ma cercai di tirarmi su. Non volevo insospettirlo. Non volevo lasciare alcuna traccia per Aro nella sua mente, se possibile.
Quando entrai Edward si girò e sorrise, senza smettere di suonare.
«Bentornata a casa», disse, come se si trattasse di una giornata qualsiasi e nella stanza non si trovasse un’altra decina di vampiri impegnati in varie attività, oltre a un’altra decina sparpagliata in giro. «Ti sei divertita oggi con Charlie?».
«Si. Scusa se sono stata via così tanto. Sono uscita a comprare un po’ di regali di Natale per Renesmee. So che non festeggeremo in grande stile, però...». Mi strinsi nelle spalle.
Edward curvò le labbra verso il basso. Smise di suonare e si girò sullo sgabello, in modo che si trovasse con tutto il corpo di fronte a me. Mi posò una mano sulla vita e mi attirò a sé. «Non ci avevo pensato granché. Se vuoi proprio festeggiarlo in grande stile...».
«No», lo interruppi. Trasalii dentro di me all’idea di dover fingere più entusiasmo dello stretto necessario. «Semplicemente, non volevo lasciarlo passare senza farle un regalino».
«Posso vedere?».
«Se vuoi. È una sciocchezza».
Renesmee era profondamente addormentata e sentivo il suo respiro lieve sul mio collo. La invidiavo. Sarebbe stato bello sfuggire alla realtà, anche solo per poche ore.
Pescai attentamente il sacchettino di velluto del gioielliere dalla mia pochette, solo socchiudendola, perché Edward non vedesse i soldi che mi erano rimasti.
«L’ho visto nella vetrina di un antiquario passandoci davanti in macchina».
Gli scrollai il piccolo medaglione d’oro nel palmo della mano. Era rotondo, con incisa una bordura sottile di piante rampicanti.
Edward apri quel meccanismo minuscolo e vi guardò dentro. C’era lo spazio per una piccola foto e, dalla parte opposta, un’iscrizione in francese.
«Sai cosa vuol dire?», mi chiese con un tono diverso, più pacato di prima.
«Il negoziante mi ha detto che significa qualcosa del tipo: "più della mia stessa vita". È così?».
«Sì, è vero».
Alzò verso di me uno sguardo indagatore con gli occhi color topazio. Lo incrociai per un attimo, poi finsi di lasciarmi distrarre dalla televisione.
«Spero che le piaccia», mormorai.
«Certo che le piacerà», disse leggero, con naturalezza, e in quel secondo fui sicura che sapesse che gli stavo nascondendo qualcosa. Ero sicura anche che non avesse la minima idea di che cosa si trattasse.
«Portiamola a casa», suggerì, alzandosi e circondandomi le spalle con un braccio.
Esitai.
«Che c’è?», chiese.
«Volevo allenarmi un po’ con Emmett...». Avevo perso tutta la giornata per quella commissione importantissima e mi sentivo in arretrato.
Emmett, che era sul divano con Rose e come sempre teneva il telecomando, alzò lo sguardo e sorrise pregustando quel momento. «Fantastico. Il bosco ha bisogno di una spuntatina».
Edward lanciò un’occhiataccia prima a Emmett, poi a me.
«Avete tutto il tempo di farlo domani», disse.
«Non essere ridicolo», mi lamentai. «Lo sai benissimo che non esiste più il concetto di "tutto il tempo". Non esiste più. Ho molte cose da imparare e...».
M’interruppe. «Domani».
Aveva un’espressione tale che nemmeno Emmett osò discutere.
Mi sorpresi di quanto fosse difficile tornare a una routine che, dopotutto, era nuova di zecca. Ma la perdita dell’ultimo briciolo di speranza che avevo nutrito faceva sembrare tutto impossibile.