E la segretezza serviva a tenere la cosa al di fuori della memoria di Edward, perché c’erano buone possibilità che Aro venisse a conoscenza di ciò che lui sapeva. Se avessimo perso, prima di distruggere Edward, avrebbe sicuramente ottenuto le informazioni che tanto bramava.
Proprio come avevo sospettato. Non avremmo mai potuto vincere. Ma dovevamo tentare con ogni mezzo di uccidere Demetri prima di perdere, lasciando a Renesmee la possibilità di fuggire.
Mi sentivo il cuore immobile e pesante come una pietra nel petto: un peso che mi annientava. Tutte le mie speranze erano svanite come nebbia al sole. Gli occhi mi bruciavano.
A chi avrei potuto accollare una situazione del genere? A Charlie? Troppo umano e indifeso. E come avrei fatto a portargli Renesmee? Non si sarebbe certo trovato nelle vicinanze dello scontro. Restava solo una persona. In realtà era sempre stata l’unica.
Avevo fatto quelle riflessioni così in fretta che J. non si era accorto della mia pausa.
«Due certificati di nascita, due passaporti, una patente», dissi con voce bassa e nervosa.
Se si era accorto che avevo cambiato espressione, non lo diede a vedere.
«A nome di chi?».
«Jacob... Wolfe. E... Vanessa Wolfe». Nessie sembrava un soprannome accettabile per una che si chiamava Vanessa. E Jacob si sarebbe divertito un sacco con la storia di Wolfe.
Scrisse rapido su un bloc notes giallo. «E i secondi nomi?».
«Si inventi lei qualcosa di generico».
«Come preferisce. Le età?».
«L’uomo ha ventisette anni, la bambina cinque». Jacob poteva benissimo passare per un venticinquenne: era un bestione. E, a giudicare dalla velocità con cui cresceva Renesmee, era meglio fare una stima per eccesso. Avrebbero potuto scambiare Jacob per il suo patrigno...
«Se preferisce dei documenti completi, mi servono le foto», disse J., interrompendo le mie riflessioni. «Di solito il signor Jasper li finiva personalmente».
Ecco perché J. non sapeva che faccia avesse Alice.
«Aspetti un attimo», dissi.
Era un colpo di fortuna. Nel portafoglio tenevo varie foto di famiglia, e quella perfetta — Jacob che abbracciava Renesmee sotto il portico davanti a casa — aveva solo un mese. Alice me l’aveva data appena qualche giorno prima... O forse, dopotutto, non era questione di fortuna. Alice sapeva che avevo quella foto. Forse aveva anche ricevuto qualche vaga premonizione del fatto che ne avrei avuto bisogno, prima di darmela.
«Ecco».
J. studiò la foto per un attimo. «Sua figlia le somiglia molto».
M’irrigidii. «Somiglia di più a suo padre».
«Che non è quest’uomo». Toccò il viso di Jacob.
Strinsi gli occhi e sulla fronte di J. spuntarono nuove perle di sudore.
«No. È un carissimo amico di famiglia».
«Scusi», borbottò e ricominciò a scrivere. «Quando le servono i documenti?».
«Ce la fa in una settimana?».
«È un ordine urgente. Costerà il doppio... anzi no, scusi. Mi sono dimenticato che stavo parlando con lei».
Conosceva Jasper, ovviamente.
«Mi dica la cifra».
Sembrava avere qualche esitazione a pronunciarla a voce alta e tuttavia ero sicura che, avendo già avuto a che fare con Jasper, sapesse che il prezzo non era un problema. Senza neanche considerare i conti strapieni di soldi intestati in vario modo ai Cullen in tutto il mondo, in casa c’era abbastanza denaro da mantenere a galla una piccola nazione per dieci anni: era un po’ come Charlie, che in fondo a ogni cassetto teneva centinaia di ami da pesca. Secondo me, nessuno si sarebbe accorto delle mazzette che avevo prelevato quel giorno per sbrigare la commissione.
J. scrisse il prezzo in fondo al bloc notes.
Annuii, calmissima. Avevo portato con me ben più di quanto servisse. Aprii di nuovo la borsetta e contai il denaro; lo avevo diviso in mazzette da cinquemila dollari con alcuni fermagli, quindi ci impiegai poco.
«Ecco».
«Ah, Bella, non occorre che mi dia subito tutta la somma. Di solito il cliente ne conserva la metà per garantirsi la consegna».
Sorrisi languidamente a quell’uomo nervoso. «Ma io mi fido di lei, J. E poi, le darò un bonus: la stessa cifra appena ricevo i documenti».
«Le assicuro che non è necessario».
«Non si preoccupi». Non potevo tenere tutti quei soldi con me. «Ci vediamo qui la settimana prossima alla stessa ora?».
Mi guardò con aria sofferente. «A dire il vero, preferisco svolgere certe transazioni in luoghi che non abbiano a che fare con il mio impiego abituale».
«Capisco. So già che non mi sto comportando come lei si aspettava».
«Sono abituato a non avere aspettative quando si tratta della famiglia Cullen». Fece una smorfia e si ricompose rapidamente. «Vediamoci alle otto fra una settimana al Pacifico, va bene? Si trova sul lago Union e si mangia divinamente».
«Perfetto». Ma non avrei certo cenato con lui. Non credo avrebbe gradito molto se l’avessi fatto.
Mi alzai e gli strinsi di nuovo la mano. Stavolta non batté ciglio. Ma sembrava avere una nuova preoccupazione in testa. Aveva la bocca serrata e la schiena tesa.
«Avrà grossi problemi a rispettare la scadenza?», gli chiesi.