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Ci riflettei per un attimo, mordendomi il labbro. «Mai visto qualcuno che mi somiglia, da queste parti? Be’, che m’assomiglia solo un pochino. Mia sorella è molto più bassa di me, e ha i capelli neri arruffati».

«J. conosce tua sorella?».

«Credo di sì».

Max rimuginò su quell’informazione per un attimo. Gli sorrisi e rimase senza fiato. «Senti un po’ cosa ho pensato di fare: adesso chiamo J. e gli faccio la tua descrizione. E poi decide lui».

Ma cosa sapeva J. Jenks? La mia descrizione gli avrebbe fatto venire in mente qualcosa? Era un pensiero inquietante.

«Di cognome faccio Cullen», dissi a Max, e mi chiesi se per caso non gli stessi dando troppe informazioni. Cominciavo ad arrabbiarmi con Alice. Dovevo proprio andare così alla cieca? Avrebbe potuto dirmi qualcosa in più...

«Cullen, ho capito».

Lo osservai mentre componeva il numero, che riuscii a leggere facilmente. Almeno, se non funzionava così, potevo telefonare direttamente io a J. Jenks.

«Ehi J., sono Max. So che devo chiamarti a questo numero solo in caso di emergenza...».

C’è un’emergenza?, sentii pronunciare debolmente all’altro capo della cornetta.

«Be’, non proprio. C’è una ragazza che vuole vederti...».

Non capisco che emergenza c’è. Perché non hai seguito la procedura normale?

«Non l’ho seguita perché lei non mi sembra affatto normale...».

Non sarà mica uno sbirro?!

«No...».

Non si sa mai. Sembra uno degli uomini di Kubarev...?

«No... fammi parlare, va bene? Dice che conosci sua sorella, o qualcosa del genere».

Improbabile. Lei com’è?

«È...». Mi squadrò dalla testa ai piedi con uno sguardo elogiativo. «Be’, sembra una top model, che cavolo, ecco com’è». Sorrisi e lui mi fece l’occhiolino, poi proseguì. «Corpo da urlo, pallida come un lenzuolo, capelli castano scuro lunghi fino alla vita, ha l’aria di aver bisogno di una bella dormita... ti ricorda qualcuno?».

Niente affatto. Non mi fa piacere che, a causa del tuo debole per le belle donne, tu abbia interrotto...

«Sì, va bene, mi piacciono le ragazze carine, e allora? Che male c’è? Mi spiace di averti disturbato, bello. Lasciamo perdere».

«Il nome», bisbigliai.

«Ah, giusto. Aspetta», disse Max. «Dice che si chiama Bella Cullen. Ti ricorda qualcosa?».

Per un attimo calò un silenzio tombale, poi la voce all’altro capo della cornetta di botto si mise a gridare, usando una serie di vocaboli degni di un’area di servizio per camionisti. Max cambiò completamente espressione: l’aria scherzosa sparì del tutto e le labbra impallidirono.

«Non te l’ho detto perché non me l’hai chiesto!», gli rispose Max urlando, in preda al panico.

Ci fu un’altra pausa, durante la quale J. si ricompose.

Carina e pallida?, chiese J., ora un po’ più calmo.

«Te l’avevo detto, no?».

Carina e pallida? Che ne sapeva quell’uomo dei vampiri? Era uno dei nostri? Non ero pronta a un confronto di quel tipo. In quale guaio mi aveva cacciata Alice?

Max aspettò un minuto mentre subiva un’altra scarica di insulti e istruzioni gridati a gran voce, poi mi guardò con un’espressione quasi spaventata. «Ma il giovedì incontri solo i clienti del centro... Va bene, va bene! Mi ci metto subito». Chiuse il cellulare.

«Vuole vedermi?», chiesi allegra.

Max mi guardò in cagnesco. «Potevi dirmi che eri una cliente con la precedenza».

«Non sapevo di esserlo».

«Credevo fossi uno sbirro», mi confessò. «Cioè, non è che lo sembri. Ma ti comporti in modo strano, seducente».

Feci spallucce.

«Sei del cartello dei narcos?», tirò a indovinare.

«Chi, io?», chiesi.

«Sì. O il tuo ragazzo, o chi ti pare».

«No, mi dispiace. La droga non esalta me e nemmeno mio marito. Se la conosci la eviti, eccetera eccetera, hai presente?».

Max imprecò sottovoce. «Sposata. Mi sa che non ho proprio nessuna chance».

Sorrisi.

«Sei della mafia?».

«Nooo!».

«Traffico di diamanti?».

«Smettila! È questa la gente con cui hai a che fare di solito, Max? Forse è il caso che ti trovi un altro lavoro».

Dovevo ammettere che un po’ mi stavo divertendo. Non avevo ancora interagito con molti umani, a parte Charlie e Sue. Era divertente vederlo in difficoltà. Ero anche soddisfatta di quanto mi riuscisse facile non ucciderlo.

«Devi essere dentro a qualcosa di grosso. E di pericoloso», disse fra sé.

«Non proprio».

«Dicono tutti così. Ma a chi servono i documenti, se no? Chi può permettersi di pagare i prezzi a cui li vende J.? Forse questa è la domanda giusta, ma comunque non sono affari miei», disse, poi borbottò di nuovo: «Sposata».

Mi diede un ulteriore indirizzo, del tutto nuovo, con indicazioni sommarie, poi, con uno sguardo sospettoso e amareggiato, mi osservò mentre mi allontanavo.

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