«Da qualche parte nel Canada del Nord. Non so in quale provincia. Non bada molto ai confini».
«Ha dato qualche segno di...».
«Non è intenzionato a tornare a casa, Bella. Mi dispiace».
Deglutii. «Tranquillo, Seth. Lo sapevo già. Ma non riesco a non sperarci».
«Già, è così per tutti noi».
«Grazie che mi dai notizie, Seth. Immagino che gli altri te lo stiano facendo pesare».
«Non sono certo tuoi fan accaniti», confermò lui allegro. «Reazione idiota, direi. Jacob ha fatto le sue scelte, tu le tue. Neanche Jake approva il loro atteggiamento. Ovvio, sapere che chiedi di lui non lo fa saltare di gioia».
Restai a bocca aperta. «Credevo che non vi parlasse».
«Per quanto si sforzi, non può nasconderci tutto».
Quindi Jacob sapeva che ero preoccupata. Chissà se era un bene o un male. Se non altro sapeva che non ero sparita dall’orizzonte dimenticandolo del tutto. Forse mi aveva ritenuta capace di farlo.
«Immagino che ci vedremo al... matrimonio», dissi cacciando con sforzo quella parola fuori dai denti.
«Sì, ci verrò con la mamma. È fico che ci abbiate invitati».
Sorrisi del suo tono entusiasta. Invitare i Clearwater era stata un’idea di Edward ed ero lieta che ci avesse pensato. La presenza di Seth mi faceva piacere: era pur sempre un tenue legame con il mio testimone assente. «Non sarebbe lo stesso senza di voi».
«Salutami Edward, okay?».
«Certamente».
Scossi la testa. L’amicizia nata fra Edward e Seth continuava a lasciarmi senza parole. Però era la dimostrazione che le cose non sarebbero dovute andare così. Che i vampiri e i licantropi potevano andare d’accordo se decidevano di farlo, e tanti saluti.
Non tutti gradivano l’idea.
«Ah», esclamò Seth salendo di un’ottava con la voce. «Ehm, è tornata Leah».
«Oh! Ciao!».
Cadde la linea. Lasciai il telefono sul sedile e mi preparai mentalmente a entrare in casa, dove mi aspettava Charlie.
In quel periodo, il mio povero papà era alle prese con un sacco di problemi. Jacob il fuggitivo era soltanto uno dei fardelli che rischiavano di spezzargli la schiena. Era quasi altrettanto preoccupato per me, la figlia appena maggiorenne che nel giro di pochi giorni sarebbe diventata "signora".
M’incamminai lenta sotto la pioggia leggera, persa nel ricordo della sera in cui gliel’avevamo detto.
Quando il rumore dell’auto della polizia aveva annunciato il ritorno di Charlie, l’anello che portavo al dito aveva iniziato improvvisamente a pesare cento chili. Avrei voluto infilare la mano sinistra nella tasca, o sedermici sopra, ma la stretta forte e fredda di Edward la teneva fra di noi in bella vista.
«Smettila di agitarti, Bella. Per favore, cerca di ricordare che non sei qui per confessare un omicidio».
«Facile dirlo, per te».
Sentii il suono minaccioso degli stivali di mio padre sul marciapiede. La chiave sferragliò nella porta già aperta. Il suo rumore mi ricordò la scena dei film horror in cui la vittima si accorge di aver dimenticato di chiudere la serratura.
«Calmati, Bella», sussurrò Edward, intento ad ascoltare i battiti accelerati del mio cuore.
La porta si chiuse sbattendo e io sobbalzai come per una scossa elettrica.
«Ciao, Charlie», salutò Edward, del tutto a proprio agio.
«No!», protestai a mezza voce.
«Che c’è?», sussurrò lui.
«Aspetta almeno che appenda la pistola!».
Edward ridacchiò e si passò una mano nella massa arruffata dei capelli color bronzo.
Charlie sbucò da dietro l’angolo, ancora in uniforme, ancora armato, e cercò di non fare smorfie quando ci scorse seduti l’uno accanto all’altra sul divanetto. Da qualche tempo si era messo d’impegno a farsi piacere Edward. Ovviamente, quanto gli avremmo rivelato di lì a poco stava per cancellare di colpo ogni suo sforzo.
«Ciao, ragazzi. Come va?».
«Abbiamo una cosa da dirti», rispose Edward sereno. «Buone notizie».
In un secondo l’espressione di Charlie passò dalla cordialità artificiosa al sospetto più fosco.
«Buone notizie?», ringhiò guardandomi dritto negli occhi.
«Siediti, papà».
Alzò un sopracciglio, mi fissò per cinque secondi, si avvicinò a grandi passi alla poltrona reclinabile e si appollaiò sul bordo, la schiena dritta come un fuso.
«Non scaldarti, papà», dissi dopo un momento di silenzio sovraccarico. «È tutto okay».
Edward fece una smorfia, un’evidente obiezione alla parola «okay». Probabilmente lui avrebbe utilizzato qualcosa di più simile a "meraviglioso", "perfetto" o "magnifico".
«Certo che sì, Bella, certo che sì. Se tutto va così alla grande, perché sei sudata fradicia?».
«Non sto sudando», mentii.
Mi sottrassi al suo sguardo torvo stringendomi contro Edward e istintivamente mi passai il dorso della mano destra sulla fronte per cancellare le prove.
«Sei incinta!», esplose Charlie. «Sei incinta, vero?».
Benché la domanda fosse chiaramente indirizzata a me, si rivolse a Edward e potrei giurare di aver visto la sua mano scattare verso la pistola.