«È un rischio», dissi, cercando di ignorare gli altri occhi puntati su di me e di rivolgermi solo a lui. «Sam ha calmato gli animi, ma sono certo che nella sua testa il patto non vale più. Finché sarà convinto che la tribù, o qualsiasi altro essere umano, è in pericolo, non si farà tanti scrupoli, non so se mi spiego. Però, tutto sommato, la sua priorità resta La Push. E in realtà non sono abbastanza numerosi per vigilare come si deve sulla gente e contemporaneamente organizzare battute di caccia troppo pericolose. Credo che non si allontanerà molto».
Carlisle annuì pensieroso.
«Perciò, se posso dire la mia, uscite tutti assieme, non si sa mai. E magari di giorno, perché noi aspetteremmo il calare della notte. Classiche cose da vampiri. Siete veloci: vi basta superare le montagne e cacciare lontano. È improbabile che mandi qualcuno fin laggiù».
«E Bella resterà da sola? Indifesa?».
Grugnii. «E noi che ci facciamo qui?».
Carlisle rise, ma tornò subito serio. «Jacob, non puoi combattere contro i tuoi fratelli».
Mi rabbuiai. «Non dico che non sarà dura, ma se venissero per ucciderla sarei in grado di fermarli».
Carlisle scosse la testa, ansioso. «No, non intendevo dire che non saresti in grado. Ma sarebbe sbagliato. Non posso avere una cosa simile sulla coscienza».
«Non ce l’avresti tu, dottore. Ce l’avrei io. E potrei sopportarlo».
«No, Jacob. Agiremo in modo che non sia necessario». Aggrottò la fronte, meditabondo. «Andremo tre alla volta», decise dopo un secondo. «Probabilmente è la cosa migliore».
«Non lo so, dottore. Separarsi non è esattamente una strategia vincente».
«Useremo le nostre doti per bilanciare l’inferiorità numerica. Se Edward sarà uno dei tre, potrà garantirci la sicurezza nel raggio di qualche chilometro».
Fissammo entrambi Edward. La sua espressione costrinse Carlisle a rimangiarsi quanto detto.
«Sono certo che ci siano anche altri modi, naturalmente», aggiunse Carlisle. Nessun bisogno fisico era tanto impellente da costringere Edward ad allontanarsi da Bella. «Alice, immagino che tu possa vedere quali percorsi dovremmo evitare».
«Facile», annuì Alice, «quelli che scompaiono».
Edward, che si era irrigidito sentendo il primo piano fatto da Carlisle, si rilassò. Bella lanciò un’occhiata dimessa ad Alice, con la piccola ruga che le si formava fra gli occhi quando era ansiosa.
«Bene, allora», dissi. «È tutto sistemato. Io mi rimetto in marcia. Seth, ti aspetto al crepuscolo, quindi schiaccia un pisolino, okay?».
«Certo, Jake. Mi ritrasformo appena finisco. A meno che...», esitò, guardando Bella. «Hai bisogno di me?».
«Ha le coperte», sbottai.
«Sto bene, Seth, grazie», fu la pronta risposta di Bella.
In quel momento Esme tornò nella stanza con un piatto in mano. Si fermò titubante dietro il gomito di Carlisle, puntandomi in faccia gli occhioni dorati. Mi porse il piatto, avvicinandosi cauta.
«Jacob», disse piano. La sua voce non era penetrante come quella degli altri. «So che per te è poco appetitosa l’idea di mangiare qui, per via dell’odore. Ma mi sentirei meglio se portassi con te un po’ di cibo. So che non puoi tornare a casa e la colpa è nostra. Per favore... allevia il mio rimorso, almeno in parte. Prendi qualcosa da mangiare». Mi porse il cibo, il volto tenero e supplichevole. Pure se non dimostrava più dei suoi venti e rotti anni, e sebbene fosse chiarissima di pelle, di colpo qualcosa nella sua espressione mi ricordò mia madre.
Cavolo.
«Certo, certo», farfugliai. «Mi sa... Forse Leah ha ancora fame».
Allungai una mano per afferrare il cibo, tenendola a distanza. Lo avrei mollato sotto a un albero o chissà che altro. Ma non volevo che ci rimanesse male.
Poi mi ricordai di Edward.
Non lo guardai per accertarmi che fosse d’accordo. Era meglio che lo
«Grazie, Jacob», disse Esme, sorridendomi. Come potevano esserci delle
«Ehm, grazie a te», dissi. Mi sentii avvampare in viso, più del solito.
Ecco cosa succedeva a frequentare i vampiri: ci si abituava a loro. Iniziavano a crearti confusione, a far vacillare la tua maniera di vedere il mondo. Cominciavano a comportarsi da amici.
«Torni più tardi, Jake?», mi chiese Bella mentre cercavo di tagliare la corda.
«Uhm, non lo so».
Strinse le labbra, come per trattenere un sorriso. «Dai... Potrei avere freddo».
Inspirai dal naso e poi mi resi conto, troppo tardi, che non era stata una buona idea. Feci una smorfia. «Forse».
«Jacob?», chiamò Esme. Mentre mi avvicinavo all’uscita lei riprese a parlarmi, seguendomi a qualche passo di distanza. «Ho lasciato una cesta di vestiti in veranda. Sono per Leah. Sono appena lavati, ho cercato di toccarli il meno possibile». Aggrottò le sopracciglia. «Ti dispiace portarglieli?».
«Pure», bofonchiai e poi me la squagliai, prima che qualcun altro chiedesse un favore facendo leva sul mio senso di colpa.
15
Tic tac tic tac tic tac