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— Forse anche Kate vuol bere qualcosa — propose Jack Breton. — Così può prendersi un attimo di respiro. — Kate lo guardava con una circospezione che lui trovava deliziosa, e dovette fare uno sforzo per mantenere la voce ferma. “Lei sa, lei sa.” Mentre l’altro se stesso le versava un liquido incolore, si accorse di correre il pericolo di fare un viaggio involontario. Esaminò il campo visivo e lo trovò nitido: niente teicopsia, nessuna stella nera che scendeva lentamente, nessun fenomeno di rafforzamento. Sembrava tutto a posto.

Lentamente, con cura, cominciò a ordinare i fatti, concedendo ai nove anni passati di ricrearsi sul canovaccio teso della sua mente.

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Kate stava allontanandosi sul marciapiede illuminato dalle vetrine dei negozi. Con la mantella argentata strettamente avvolta sull’abito leggero, e le gambe lunghe rese ancor più slanciate dai tacchi altissimi dei sandali, pareva la versione, idealizzata per lo schermo, della pupa di un gangster. La luminosità delle vetrine la incorniciava, proiettandone l’immagine nitida nella sua mente, e lui vide, con lo stupore che desta sempre una nuova scoperta, la rete delle sottili vene azzurre nella parte posteriore delle sue ginocchia. Breton si sentì sopraffatto da un’ondata di puro affetto.

“Non puoi lasciare che Kate vada da sola di notte per la città vestita cosi” gli disse una voce. Ma l’unica alternativa era strisciarle dietro, e cedere alla sua volontà. Dopo aver esitato, si voltò incamminandosi nella direzione opposta, pieno di disgusto per se stesso e imprecando tra i denti.

Circa due ore dopo si fermò davanti a casa sua una macchina della polizia.

Breton, affacciato da un pezzo alla finestra, si precipitò ad aprire la porta. C’erano due agenti in borghese, dagli occhi scuri e indagatori e, dietro a loro, alcune figure in uniforme blu.

Uno dei due esibì un distintivo. — Il signor John Breton?

Breton annuì; incapace di parlare. “Mi spiace, Kate” pensò “mi spiace… torna, e andremo al ricevimento.”

— Sono il tenente Convery della Squadra Omicidi. Posso entrare?

— Sì — rispose Breton intontito, e li guidò in soggiorno. Dovette fare uno sforzo per non sprimacciare i cuscini, come una massaia nervosa.

— Non so come dirvelo, signor Breton — disse lentamente Convery. Aveva una faccia larga, cotta dal sole, e un naso piccolo che si distingueva appena in mezzo agli occhi azzurri molto distanziati.

— Che c’è, tenente?

— Si tratta di vostra moglie. Pare che fosse nel parco, stanotte, sola, ed è stata assalita.

— Assalita? — Breton si sentì tremare le ginocchia. — Ma dov’è adesso? Sta bene?

Convery scosse la testa. — Mi spiace, signor Breton. È morta.

Breton sprofondò nella poltrona mentre l’universo si restringeva e si espandeva intorno a lui come le cavità di un enorme cuore improvvisamente messo a nudo. “Sono stato io” pensò. “Io ho ucciso mia moglie.” Notò appena l’altro agente in borghese, che stava dicendo qualcosa sottovoce a Convery.

— Il mio collega — disse Convery dopo qualche istante — mi rimprovera per esser stato troppo esplicito, signor Breton. Ufficialmente, avrei dovuto dire che è stato trovato il cadavere di una donna che da alcuni particolari potrebbe risultare vostra moglie, ma in un caso chiaro come questo, è inutile tirarla per le lunghe. Comunque teniamoci alla prassi: avete ragione di credere che il cadavere di una donna sui venticinque anni, alta, coi capelli biondi, che indossava un abito da sera blu-argento, da noi trovata vicino all’ingresso della Cinquantesima Strada del parco comunale, non sia quello di vostra moglie?

— Nessuna ragione. Era uscita sola, stasera, vestita come avete detto voi. — Breton chiuse gli occhi. “Sono stato io. Ho ucciso mia moglie.” — Le ho permesso di andarsene da sola.

— Dobbiamo ancora procedere all’identificazione ufficiale. Se volete, uno degli agenti vi accompagnerà all’obitorio.

— Non è necessario — disse Breton. — Posso farcela da solo.

Il cassetto frigorifero uscì scorrendo sulle guide ben oliate. Breton guardò la faccia gelida, sognante di Kate, e le gemme di umidità che seguivano la curva delle sue sopracciglia. Mosse automaticamente la mano per accarezzare Kate. Ma, notando le unghie orlate di nero dell’olio di macchina, si fermò. “Non la devi sporcare.”

Il tenente Convery si mosse in un angolo del suo campo visivo, vicino eppure lontano anni-luce, al di là di un universo di pulsante sfavillio. — È vostra moglie?

— E chi, se no? — mormorò Breton stupito. — Chi?

Più tardi seppe che Kate era stata colpita, violentata e pugnalata. Un esperto, forse il medico legale, disse di non poter affermare con sicurezza in quale ordine si fossero svolti i fatti. Breton si tenne dentro la certezza della propria colpa per alcuni giorni, senza risentirne, mentre adempiva a inutili formalità. Ma contemporaneamente si rendeva conto di essere come una bomba in cui la miccia fosse già stata accesa, e stava vivendo i pochi secondi che avrebbero preceduto la sua disintegrazione.

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