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— Sto aspettando — disse John Breton.

Jack alzò le spalle. — Avrei preferito parlare in presenza di Kate, ma immagino che sia salita…

— Mia moglie è di sopra. — Le prime due parole furono sottolineate da un tono enfatico appena percettibile.

— Bene, allora, John. È strano, ma questa è una parte della faccenda che non ho preparato in anticipo… Non ho pensato a come dovevo dirtelo. Vedi, John… Io… sono… te.

— Sarebbe come dire che io non sono io? — ribatté John, con voluta indifferenza.

— No. — “Sta riprendendosi” pensò con riluttante approvazione Jack Breton “ma deve prendere la cosa sul serio fin dal principio.” Cercò nei recessi della memoria.

— John! Quando avevi tredici anni, tua cugina Louise passò quasi tutta l’estate a casa tua. Aveva diciott’anni ed era ben fatta. E faceva il bagno, puntuale come un orologio, tutti i venerdì sera. Un pomeriggio, circa tre settimane dopo il suo arrivo, tu andasti in garage a prendere un trapano a mano, e con una punta da tre-trenta facesti un buco nel soffitto del bagno. Inseristi il trapano nella parte più larga di quella fessura a forma di Y che papà non si decideva mai a stuccare, perché così il foro sarebbe passato inosservato. Papà aveva adattato la parte centrale del solaio a deposito di granaglie, e aveva disposto i mucchi su dei grandi fogli. Ma tu avevi scoperto che, sotto a uno dei mucchi, c’era un’asse mobile in corrispondenza del soffitto del bagno. E così, quell’anno, ti divertisti a fare fotografie, John; e il solaio era una camera oscura ideale. Tutti i venerdì sera, quando Louise era nella vasca, tu salivi in quell’oscurità polverosa, ti inginocchiavi in corrispondenza del bagno, e…

— Basta! — John fece un passo in avanti tenendo un indice accusatore. Ma gli tremava la mano.

— Non te la prendere, John. Sto solo presentando le mie credenziali. Nessun altro al mondo conosce i fatti che ti ho appena finito di raccontare. L’unica ragione per cui li conosco, è la stessa che ti ho già esposto: io sono te. Io ho fatto quelle cose, e ora voglio che tu mi ascolti.

— Devo ascoltarti per forza — disse cupo John — È una serata infernale.

— Così va meglio — replicò Jack, rilassandosi un altro poco. — Ti secca se mi siedo?

— Fa’ pure. E a te secca se bevo?

— Sei il mio ospite. — Jack disse queste parole con naturalezza, senza pensarci, ma poi meditò sul loro significato. John era stato suo ospite per nove anni, in un modo in cui nessun altro era mai stato ospite prima; ma tutto questo stava per giungere alla conclusione. Quando entrambi si furono messi a sedere, Jack si protese nell’ampia poltrona, e prese a parlare con voce calma, fredda, ragionevole. Molto sarebbe dipeso dalla sua capacità di rendere credibile l’incredibile.

— Cosa ne pensi dei viaggi nel tempo, John?

John Breton bevve un sorso. — Penso che siano impossibili. Nessuno può viaggiare nel tempo, oggi come oggi, e se la tecnologia attuale è impotente in questo campo, è logico che non è mai stato trovato il sistema di farlo neppure in passato. E nessuno può venire a noi dal futuro, perché il passato è inalterabile. Ecco come la penso sui viaggi nel tempo.

— E l’altra direzione?

— Quale altra direzione?

— Dritto, ad angolo retto rispetto alle due direzioni che hai menzionato.

— Oh, quella — John Breton si versò ancora da bere. Aveva quasi l’aria di divertirsi. — Quando leggevo fantascienza, non li giudicavo viaggi possibili. Solo probabili.

— D’accordo — convenne Jack. — Cosa ne pensi di un viaggio probabile?

— Stai forse cercando di dirmi che vieni da un altro presente? Da un’altra corrente temporale?

— Sì, John.

— Ma perché mai? Ammesso che sia vero, che cosa ti ha portato qui? — John Breton portò il bicchiere alle labbra, ma non beve. Aveva gli occhi pensosi. — Nove anni, dicevi. Ha qualcosa a che fare con…?

— Ho sentito parlare, John. — Kate era sulla soglia. — Chi c’è con te? Oh…

Jack Breton si alzò mentre la donna entrava nella stanza, e la vista di lei gli riempì gli occhi, proprio come aveva fatto l’ultima sera che l’aveva vista viva, finché la sua immagine sommerse la sua coscienza: tridimensionale, nitida, perfetta. Lo sguardo di Kate s’incrociò per un istante col suo, poi si allontanò, e un lampo di piacere gli esplose nella mente. Era già arrivato fino a lei. Senza dire una parola, l’aveva raggiunta.

— John? — La voce di Kate era tremula, incerta. — John?

— È meglio che tu ti metta a sedere, Kate — disse John Breton con voce sottile e monotona. — Credo che il nostro amico abbia da raccontarci una storia.

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