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— Nessuno ha bisogno di una bevutina? — Breton si alzò per andare al mobile-bar tappezzato internamente di specchi. “Bevutina” pensò. “Cristo! Come mi stanno riducendo?” Si versò una generosa dose di scotch, lo allungò con la soda, e si appoggiò al bar osservando la scena all’altro capo della stanza. Il corpo di Miriam Palfrey stava abbandonato sulla poltrona, ma la mano si muoveva con un’incredibile rapidità per scrivere, senza abbreviazioni, al ritmo di trenta parole al minuto. Il materiale che abitualmente produceva era una prosa fiorita, antiquata, che trattava di soggetti disparati, con una notevole abbondanza di parole come Bellezza e Amore, scritti sempre con la maiuscola. I Palfrey sostenevano che quegli scritti erano dettati dagli spiriti di autori defunti, che loro cercavano poi di identificare, in base allo stile. Breton aveva una sua opinione, in proposito, ed era più disgustato di quanto non ammettesse, nel vedere Kate accettare supinamente quelli che lui considerava trucchetti tolti di peso da un salotto vittoriano.

Bevendo il suo whisky, Breton guardava Kate raccogliere i fogli, numerarli e disporli in un mucchietto ordinato. Undici anni di matrimonio non avevano cambiato per niente il suo aspetto fisico: alta e ancora snella, vestiva abiti di seta dalle tinte vivaci, che portava come se fossero un piumaggio naturale, facendo venire in mente a Breton uno smagliante uccello esotico. Ma gli occhi erano invecchiati, e molto. “Nevrosi suburbana” pensò Breton. “Frammentazione della famiglia riflessa nell’individuo. Mettiamoci un’etichetta e non pensiamoci più. Una donna non è mai completamente moglie, finché tutti i membri della sua famiglia d’origine non sono morti. Riunite gli orfanotrofi e le agenzie matrimoniali. Bevo troppo…”

Un’esclamazione soffocata di Kate lo costrinse a riportare l’attenzione al gruppo intorno al tavolino. La mano di Miriam Palfrey aveva cominciato a tracciare qualcosa, che, da lontano, pareva un disegno a cerchi concentrici, come un garofano appena sbocciato. Breton si avvicinò e si accorse che la donna scriveva seguendo una spirale molto stretta e intanto gemeva e tremava. Un lembo del quadrato di velluto si sollevava e si riabbassava seguendo il ritmo affannoso del suo respiro, simile a quello di una foca.

— Cos’è? — chiese in tono annoiato Breton. Non voleva mostrare troppo interesse, ma si era accorto che stava succedendo qualcosa d’insolito. Al suono delle sue parole, Miriam si raddrizzò a sedere e suo marito le circondò le spalle col braccio.

— Non lo so — rispose Kate rigirando il foglio fra le dita. — Cioè… è una poesia.

— Be’, sentiamola. — Breton parlava con tollerante giovialità, seccato di essersi lasciato coinvolgere, ma comunque impressionato, se non altro, dall’abilità manuale di cui aveva fatto sfoggio Miriam.

Kate si schiarì la gola, e lesse:

Ti ho desiderato per mille nottiMentre la verde fosforescenza della lancettasi spostava lenta.Il desiderio di te mi faceva piangere,Ma tu non potevi assaporare le mie lacrime.

Senza che Breton riuscisse a capire perché, queste parole lo turbarono. Tornò al mobile-bar, e mentre gli altri esaminavano il frammento di poesia, rimase a fissare accigliato le bottiglie e i bicchieri moltiplicati dagli specchi. Sorseggiò la bibita ghiacciata e fissò i propri occhi nel microcosmo di cristallo; poi, di colpo, la sua mente trovò la spiegazione della frase “sono nove anni, quasi…". Se l’intuizione era esatta, queste erano le parole che lo avevano veramente colpito: una specie di bomba di profondità psicologica perfettamente centrata, e lanciata allo scopo di colpire a fondo. Nove anni prima, proprio in quello stesso mese, una macchina della polizia aveva trovato Kate che vagava nel buio della Cinquantesima Strada, con brandelli di cervello umano appiccicati alla faccia…

Allo squillo del telefono in anticamera Breton si sentì gelare, depose il bicchiere facendolo tintinnare, e lasciò la stanza per andare a rispondere.

— Qui Breton — disse seccamente. — Chi parla?

— Ciao, John, cosa succede? — Questa volta riconobbe subito la voce. Era quella di Carl Tougher.

— Carl! — Breton si abbandonò su una sedia e cercò le sigarette. — Sei stato tu a chiamarmi, meno di mezz’ora fa?

— No. Avevo troppo da fare.

— Ne sei certo?

— Ma cosa ti prende, John? Ti ho detto che avevo troppo da fare… quei sondaggi a Silverstream si stanno rivelando un bel guaio.

— I controlli non corrispondono?

— Proprio così. Stamattina ho fatto una serie di otto rilevamenti a caso, nell’area designata, e ho controllato con un gravimetro diverso dopo pranzo. Arrivati a questo punto, tutto quel che ti posso dire è che i sondaggi fatti il mese scorso erano completamente sballati. Secondo i nuovi rilevamenti, sono di circa venti milligal inferiori a quanto dovrebbero essere.

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