Dalla costa lontana si avvicinava un rumore. Un rimbombo ritmico, che divenne il crepitio di un elicottero.
Jörensen alzò la testa. Conosceva tutti i modelli che passavano da quelle parti. Già da lontano, e nonostante il cattivo tempo, vide un Bell 430 passare sulla Gullfaks e sparire nella foschia. Il rumore delle pale tornò a essere un rimbombo lontano e poi sparì del tutto.
Goccioline di pioggia fini come polvere ricoprivano tutta la zona con una splendente umidità. Jörensen pensò che forse era il caso di rientrare. Aveva un'ora libera, cosa che capitava raramente, e poteva guardare la televisione o leggere, oppure giocare con qualcuno a scacchi. Ma non aveva voglia di rientrare. Non quel giorno. Gli sembrava di abitare in una bara d'acciaio. Non voleva farsi seppellire là dentro. Almeno il mare appariva come al solito: grigio, increspato, un continuo su e giù.
Lontano, dietro la torre, sulla punta del braccio esterno, bruciava la fiamma del gas. Il faro dei dispersi. Ehi, ma certo! Sembrava il titolo di un film! Niente male per un vecchione che da anni sorvegliava ogni giorno il traffico di elicotteri e navi.
Forse in pensione avrebbe potuto scrivere un libro. Su un'epoca che, di lì a qualche decennio, pochissimi avrebbero ricordato. L'era delle grandi piattaforme. E il titolo sarebbe stato:
L'umore di Jörensen migliorò un po'. Non era una cattiva idea. Forse non era un giorno così di merda.
Kiel, Germania
Gerhard Bohrmann aveva l'impressione di sprofondare nelle sabbie mobili.
Andava continuamente da Erwin Suess e Yvonne Mirbach, che stavano elaborando nuovi scenari col computer, con risultati sempre più drammatici. Intanto cercava di raggiungere Sigur Johanson. Aveva chiamato la segreteria dell'NTNU, ma gli avevano detto che Johanson era in viaggio e che non avrebbe tenuto neppure le lezioni. No, non si sapeva neppure quando sarebbe rientrato. Era stato messo in congedo, a quanto pareva per svolgere un incarico governativo. Bohrmann poteva immaginare benissimo quale incarico fosse. Allora aveva provato a casa di Johanson. Poi ancora sul cellulare. Niente.
Alla fine, si era rivolto di nuovo a Suess.
«Deve pur esserci qualcuno che gravita nell'orbita di Johanson e che è in grado di prendere una decisione», disse Erwin.
«Tutti quelli della Statoil, ma sarebbe come se non avessimo detto niente. Questione di riservatezza… Però, se questo problema continua a essere trattato in segreto e si arriva all'effetto Storegga, allora ci troveremo di fronte a una situazione che nessuno sarà in grado di gestire.»
«Che facciamo quindi?»
«Con la Statoil non otterremo nulla.»
«Va bene.» Suess si stropicciò gli occhi. «Hai ragione. Allora ci rivolgeremo al ministero della Ricerca Scientifica e a quello dell'Ambiente.»
«A Oslo?»
«E a Berlino. Ma anche a Copenhagen, ad Amsterdam. Ah, sì, e a Londra. Ne ho dimenticata qualcuna?»
«Reykjavik.» Bohrmann sospirò. «Santo cielo. D'accordo, facciamo così.»
Suess guardò fuori dalla finestra del suo ufficio. Da lì si vedevano il fiordo di Kiel, la zona con le imponenti gru dove si caricavano le navi, gli uffici commerciali e i silos. Un cacciatorpediniere della Marina galleggiava come sospeso tra il grigio dell'acqua e del cielo.
«Cosa dicono le simulazioni su Kiel?» chiese Bohrmann. Strano che non ci avesse ancora pensato. Erano così vicino all'acqua…
«Potrebbe andare bene.»
«È pur sempre una consolazione.»
«Cerca comunque di parlare con Johanson.»
Bohrmann fece un cenno di assenso e uscì.
Deep Rover, scarpata continentale norvegese
Benché Eddie avesse acceso i sei riflettori esterni, la visuale rimaneva molto limitata. I quattro proiettori alogeni al quarzo da centocinquanta watt e le due luci da quattrocento watt HMI illuminavano debolmente una zona di circa venticinque metri di raggio. Non si riuscivano a distinguere strutture solide. Quasi accecato dopo il lungo viaggio nel buio, Stone socchiuse le palpebre. Il Deep Rover s'inabissava tra cortine di perle scintillanti.