«Nulla.» Rimase in silenzio per un momento. «Se non altro, il tuo consiglio ha prodotto qualche effetto. Quello che hai detto è stato determinante.»
«La decisione di andare da Kare?»
«Osservare le cose da un altro punto di vista… Sì, la decisione di andare da Kare.»
Johanson sorrise. Poi la baciò sulle guance. «Ti telefono non appena arrivo.»
«Okay.»
Lui salì sul velivolo e gettò la borsa sul sedile dietro al pilota. L'elicottero aveva posto per dieci passeggeri, ma tutto lo spazio era a sua esclusiva disposizione. Sarebbe stato un viaggio di tre ore.
«Sigur!»
Lui si voltò verso di lei.
«Sei… Credo che tu sia davvero il mio migliore amico.» Sollevò le braccia in un gesto quasi disperato e le lasciò ricadere. Poi sorrise. «Cioè, quello che voglio dire è…»
«Lo so già», sorrise Johanson. «Non sei brava in queste cose.»
«No.»
«Neanch'io.» Si chinò in avanti. «Più qualcuno mi piace, più mi sento stupido a dirglielo. Per quello che ti riguarda, probabilmente sono l'uomo più stupido di tutti i tempi.»
«Era un complimento?»
«Più o meno.»
Chiuse il portellone e il pilota azionò i rotori. Lentamente il Bell si sollevò e la figura di Tina divenne sempre più piccola. Poi l'elicottero abbassò il muso e volò fuori dal fiordo. Il centro di ricerca che si lasciavano alle spalle sembrava un giocattolo. Johanson si mise comodo e guardò fuori, ma non c'era molto da vedere. Trondheim era sparita nella nebbia. L'acqua e le montagne scorrevano sotto di loro come macchie senza colori e sembrava che il cielo li volesse inghiottire.
Gli ricadde addosso quella cupa sensazione.
Paura.
Paura di che cosa?
Ogni tanto gli capitava di avere simili sbalzi d'umore. Troppo metano e troppa robaccia mostruosa. Inoltre quel tempaccio. Forse avrebbe dovuto fare una colazione più abbondante.
Prese dalla borsa il volume di poesie e cominciò a leggere.
Sulla sua testa i rotori scoppiettavano, ma il rumore arrivava attutito. Il suo cappotto, nella cui tasca era infilato il cellulare, stava appallottolato sulla fila di sedili dietro di lui. Tutto ciò e il fatto che fosse sprofondato nella lettura di Walt Whitman fecero sì che non sentisse il telefono quando esso si mise a suonare.
Stone aveva deciso di pronunciare qualche parola prima di salire sul batiscafo. Il cameraman lo riprendeva e l'altro tipo scattava fotografie. Doveva essere una documentazione completa sull'impresa, in modo che la Statoil si rendesse conto quanto Clifford Stone fosse professionale e come prendesse sul serio l'idea di responsabilità.
«Un passo a destra», disse il cameraman.
Stone obbedì e scacciò due tecnici dall'inquadratura. Poi ci ripensò e fece loro cenno di avvicinarsi.
«Mettiti dietro di me», disse. Probabilmente avrebbe fatto un effetto migliore se nell'inquadratura ci fossero stati anche due tecnici. Nulla doveva dare l'impressione che fossero all'opera giocatori d'azzardo e avventurieri.
L'uomo alzò la telecamera.
«Abbiamo finito?» gridò Stone.
«Ancora un momento. Non va bene. Copre il pilota.»
Stone fece un altro passo di lato. «Adesso?»
«Meglio.»
«Non dimenticare le foto», disse Stone all'altro. Il fotografo si avvicinò e, come per tranquillizzarlo, azionò l'otturatore.
«Okay», disse il cameraman. «Giriamo.»
Stone guardò deciso nell'obiettivo. «Ora scenderemo per vedere che cos'è successo al nostro prototipo. Al momento, sembra che la stazione, dalla sua posizione originaria… Ah… Dov'era prima… Accidenti.»
«Non c'è problema. Rifacciamo.»
Stavolta andò bene. Stone spiegò con parole molto concrete che avevano intenzione di cercare la stazione per un'ora. Fece un riassunto delle conoscenze acquisite, accennò al cambiamento della morfologia di quel settore della scarpata ed espresse la propria opinione secondo cui, a causa di una destabilizzazione dei sedimenti, la stazione doveva essere scivolata più in basso. Aveva un tono molto deciso e forse era un po' troppo arido, ma d'altronde non era uno showman. Gli venne in mente che tutti i grandi scopritori e inventori avevano pronunciato una frase particolarmente intelligente prima o dopo essersi rimboccati le maniche. Qualcosa di eccezionale. «È solo un piccolo passo per me, ma un grande passo per l'umanità…» Qualcosa del genere. Quella era stata roba di gran classe. Naturalmente avevano raccomandato a Neil Armstrong di dirlo come se fosse stato un pensiero spontaneo, ma non cambiava niente. «Veni, vidi, vici…» Giulio Cesare. Niente male. Colombo aveva detto qualcosa? E Jacques Picard?
Rifletté. Non gli venne nulla.