«Il problema è che un robot potrebbe fare la stessa cosa», sbottò Alban. «Ma lei vuole assolutamente giocare all'eroe.»
Stone indicò con due dita i propri occhi. «Con questi posso valutare molto meglio la situazione. Capisce? Direttamente sul luogo. Così si risolvono i problemi: si va e li si affronta.»
«Va bene. Okay.»
«Allora, quando c'immergiamo?» Stone guardò l'orologio. «Ah, tra mezz'ora. No, tra venti minuti. Fantastico.»
Fece un cenno a Eddie all'interno del batiscafo. Il pilota sollevò la mano, poi tornò a dedicarsi alla console. Stone sorrise. «Cosa vuole di più? Abbiamo il miglior pilota che ci sia in circolazione. E, in caso di necessità, quell'affare lo so guidare anch'io.»
Alban rimase in silenzio.
«Allora è tutto chiaro. Bene. Voglio guardare ancora una volta il piano d'immersione. Per qualsiasi evenienza, sono nella mia cabina. E per favore, Jean, vada a prendere quei maledetti uomini per le riprese. Li porti qui, a meno che non siano caduti in mare.»
Trondheim, Norvegia
«Dopobarba», borbottò Johanson.
Era possibile che avesse finito il dopobarba? No, impossibile. Lui era Sigur Johanson, il magazziniere delle cose belle. Vino e cosmetici non finivano così, come se niente fosse. Da qualche parte doveva avere ancora una boccetta di Kiton eau de toilette.
Impaziente tornò in bagno e rovistò nell'armadietto a specchi. Doveva uscire di casa in fretta, perché l'elicottero lo aspettava sullo spiazzo del centro di ricerca, per portarlo all'incontro con Kaxen Weaver. Ma per lui, che dava importanza al suo aspetto accuratamente trasandato, preparare la valigia era un compito ben più difficile che per qualunque altro essere umano. Una persona normale non si perdeva in astrusità come scegliere con accuratezza il colore sbagliato della giacca.
Trovò il dopobarba dietro due barattoli di gel per capelli.
Mise la boccetta nel nécessaire, che schiacciò nella borsa da viaggio tra un volume di poesie di Walt Whitman e un libro sul Porto e chiuse la cerniera. Era una borsa in stile bagaglio a mano, d'obbligo per i nobili londinesi durante i party in campagna all'inizio del XIX secolo. I passanti di pelle erano cuciti a mano e il fatto che la maniglia fosse un po' consumata trovava la piena approvazione di Johanson.
Aveva messo in borsa il CD? Ne aveva copiato uno coi dati che documentavano la sua straordinaria teoria della regia superiore? Forse si sarebbe presentata l'occasione di parlarne con la giornalista. Controllò ancora una volta.
C'era, ricoperto da camicie e calzini.
Con passi elastici lasciò la sua casa in via Kirkegata e salì sul fuoristrada.
Per qualche motivo si sentiva su di giri, pieno di una voglia di fare quasi isterica. Prima di accendere il motore, dedicò ancora uno sguardo alla facciata della sua casa. Prese la chiave tra il pollice e l'indice della mano destra e fece per infilarla nel quadro.
D'un tratto capì che cosa lo assillava.
Cercò di scacciare il pensiero. Azione contro riflessione. Fischiare nella foresta.
Su Trondheim si stendeva una nebbia umida che sfumava tutti i contorni. Anche la sua casa, dall'altra parte della strada, sembrava più scialba del solito. Quasi un dipinto.
Perché era rimasto per ore davanti ai quadri di Van Gogh e aveva sentito dentro di sé una pace come se non fossero stati dipinti da un paranoico disperato, ma da un uomo assolutamente felice?
Perché nulla poteva distruggere l'immagine.
Naturalmente un quadro poteva essere distrutto. Ma, finché esisteva, l'immagine racchiusa nei colori a olio era assoluta. I girasoli non sarebbero mai appassiti. Sul ponte di Langlois, presso Arles, non sarebbero mai cadute le bombe. Nulla poteva togliere a un dipinto la sua bellezza. Anche se ci si spennellava sopra, l'originale, per quanto nascosto, esisteva ancora. Quello che era orribile restava orribile, quello che era bello non avrebbe mai perso la propria bellezza. Anche il ritratto dell'uomo coi lineamenti scavati e la benda bianca all'orecchio, che guardava l'osservatore coi suoi occhi profondi, possedeva una certa rassicurante fiducia, perché lui, almeno nel quadro, non poteva diventare ancora più infelice, non poteva invecchiare. Impersonava un momento fissato in eterno. Aveva vinto. Alla fine, aveva trionfato sugli aguzzini e sugli ignoranti, se ne era sbarazzato con la forza del suo pennello e del suo genio.
Johanson osservava la casa.